Non ci importa da dove viene il pesce, ci basta che sia pregiato. Così sulle nostre tavole, finiscono solo prodotti prodotti importati, stando alle percentuali di consumo in base alle quali si sarebbe già esaurito il prodotto nazionale. Dunque ogni orata, merluzzo, platessa che finisce nei nostri piatti è pescata o nei gelidi mari del nord, o dai grandi pescherecci oceanici o a largo della Cina. O magari allevato nell’inquinatissimo bacino del Mekong.
A lanciare l’allarme è Ocean2012, un club di organizzazioni unite dalla volontà di fermare la pesca eccessiva che ha decretato il «Fish Dependence Day», ovvero il giorno della fine del pesce italiano per il 2013. «È vero, ci troviamo a fare i conti con una vera emergenza – conferma Ettore Ianì, presidente della Lega Pesca – anche se la situazione del Mediterraneo è leggermente migliore di quella di altri mari. La crisi ittica dipende da vari fattori: aumento dell’inquinamento, eccessivo sfruttamento, il costo esorbitante del gasolio, ma soprattutto dal fenomeno del cosiddetto “pesce dimenticato”». Su 130 specie ittiche monitorate dal 2010, solo un terzo è in calo per eccessivo sfruttamento delle risorse. In realtà, nei nostri mari, le acciughe sono aumentate del 21%, le sardine del 27%, il pesce spada del 13%.
Ma noi non rinunciamo agli spaghetti con le vongole (meno 30%), alle rosee e pregiate triglie (meno 15%), ai costosissimi naselli (meno 4%). E se non li troviamo, spesso acquistiamo senza saperlo i surrogati orientali. «I consumatori prosegue il presidente della Lega Pesca – devono capire che ci sono prodotti dalla stessa qualità di quelli pregiati, che costano meno e provengono sicuramente dai nostri mari.
(19 aprile 2013)
fonte: reedgourmet.it