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“Il bio: pulito, ecologico, e buono”

Per farci un’idea precisa su cosa sia il biologico e cosa comporti per il consumatore, per l’ambiente e per il mondo agricolo in generale, abbiamo parlato con Claudia Sorlini, professoressa di microbiologica agraria dell’Università di Milano.

C’è chi contesta il biologico, come fosse una moda senza fondamento. Da un punto di vista scientifico come stanno le cose? Cosa è il biologico? L’agricoltura biologica non è un’etichetta; è un modello di agricoltura regolamentato dalla normativa europea e da quella italiana: i principi su cui si basa sono trasparenti. La letteratura scientifica internazionale è ricca di pubblicazione sull’agricoltura biologica, finalizzata ad approfondirne gli effetti, effettuare confronti e a suggerire integrazioni..   

C’è chi dice, professoressa, che il bio su larga scala è insostenibile perché prevede un consumo di territorio superiore a quello dell’agricoltura convenzionale per avere uguali rese di raccolto. È così? Le rese dell’agricoltura biologica variano in base alla coltura e alle condizioni ambientali. Comunque, secondo le più recenti e accreditate pubblicazioni scientifiche, sono mediamente inferiori del 20%. Dunque l’osservazione sulla minor produttività media è corretta. Quello che è sbagliato è dire che l’agricoltura biologica non è sostenibile. Sono decenni che il concetto di sostenibilità sancito dalle Nazioni Unite  (Rapporto Brundand) deve essere inteso sotto il profilo economico, sociale e ambientale. Infatti la sostenibilità la si misura rispetto alla conservazione e incremento della sostanza organica e della fertilità dei suoli, alla conservazione della biodiversità, alla riduzione degli input energetici, alla riduzione dell’uso di composti agrochimici, alla conservazione del paesaggio rurale ecc.; alla capacità dell’azienda di stare sul mercato, alla capacità di offrire condizioni lavorative appropriate e posti di lavoro. Il fatto che la superficie coltivata a biologico cresca in estensione in tutti i paesi del pianeta è la prova che economicamente le aziende stanno sul mercato. E’ inoltre fuori di dubbio che l’agricoltura biologica è quella che presta più attenzione alla sostenibilità dell’ambiente, oltre che alla qualità del prodotto, e che attiva posti di lavoro.  Il 20% della produzione in Italia  potrebbe essere compensato recuperando una parte dei suoli sottratti all’agricoltura e /o abbandonati. A livello globale una maggior disponibilità di cibo può essere ottenuta anche riducendo la cifra astronomica delle perdite e dello spreco di cibo che raggiunge un miliardo e 300 milioni di tonnellate. Resta di fatto che oggi si produce più di quanto sia necessario per sfamare l’intera umanità, ma ancora 815 milioni di persone soffrono la fame. Incrementare la produzione non risolverebbe questo problema. Sarebbe meglio mettere mano al sistema di ridistribuzione. Questo non vuol dire che non si debba cercare di incrementare le rese, ma questo va fatto nel rispetto della conservazione delle risorse dell’ambiente e delle condizioni sociali.

Infine non mi risulta che l’agricoltura biologica, pur mirando ad estendersi, stia imponendo a tutto il paese o a tutto il pianeta il proprio modello.Va infine ricordato che altri modelli di agricoltura stanno muovendosi nella direzione di introdurre pratiche agricole che rendono più sostenibile questa attività e ognuno lo fa con gli strumenti che ritiene più opportuni: dall’uso del digitale e dei satelliti, alle pratiche del sovescio e della rotazione, proprie dell’agricoltura bio, alla semina su solida, eccetera. È un segnale positivo.

Quali sono le qualità peculiari del biologico, dal punto di vista del consumatore?Il vantaggio più importante è che il biologico non contiene residui di prodotti fitosanitari o, per inquinamento accidentale, ne contiene in quantità comunque molto minore a quella ritenuta accettabile per l’agricoltura convenzionale. Il fatto che , per esempio, seguendo una dieta bio dopo una settimana la concentrazione di diversi fitosanitari nelle urine della popolazione si riduca drasticamente o comunque in modo sensibile, sta a dimostrarne i vantaggi. Per quanto riguarda la qualità nutrizionale le pubblicazioni scientifiche danno risposte contrastanti. Però secondo una metanalisi recente (basata su un numero molto elevato di evidenze scientifiche pubblicate nella letteratura scientifica), risulta che frutta e verdura avrebbero un contenuto leggermente superiore di composti fenolici; i cereali, in media, una minor quantità di cadmio; i latticini una più alta concentrazione di acidi omega3. Inoltre per gli alimenti di origine animale una minor presenza di antibiotici.

L’Italia è una delle realtà europee in cui il biologico si è particolarmente diffuso. Per quali ragioni? Fra i paesi più importanti dell’Europa, l’Italia è il paese che ha la superficie agraria più ridotta (quasi la metà della Francia e 2/3 della Germania). Il nostro territorio, a parte alcune pianure abbastanza vaste, ha tante aree che  non possono essere coltivate con la logica dell’agricoltura intensiva.  La vocazione di queste zone è per un’agricoltura che si basa sulla qualità e non sulla quantità, cioè sulla coltivazione di specie e varietà diverse (biodiversità) possibilmente legate alle caratteristiche (ed eventualmente anche alle tradizioni) del territorio. In questo contesto la conversione a biologico è una evoluzione quasi naturale che conferisce valore aggiunto e che risponde alla domanda dei consumatori, sensibili ai temi della qualità dei cibi, della salute  e dell’ambiente. Infatti a far da motore alla conversione al biologico, accanto alla vocazione dei nostri territori, c’è anche la crescita di interesse dei consumatori nei confronti di cibo sano prodotto nel rispetto dell’ambiente che lo ha generato.

Il sistema dei controlli contro il falso bio, secondo lei, è sufficientemente efficace? Ritengo che il sistema di controllo debba essere rivisto per evitare che  le scorrettezze di pochi gettino una cattiva luce sui tanti che si attengono scrupolosamente alla normativa ufficiale dell’agricoltura biologica.

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