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Acqua, città che vai bolletta sempre diversa che trovi

Goccia_acqua.jpgL’acqua è una ma le bollette sono un’infinità, più care negli ultimi due anni (mediamente del 6,3%, pari a 15 euro) e senza una logica apparente. L’oro blu lo paghi quattro volte di più se sei di Pisa rispetto a un milanese, e male ti va comunque se vivi in Toscana.

Dai 381 euro di Pisa e i 379 euro di Siena e Grosseto – calcolati per una famiglia di tre persone con un consumo medio di 150 metri cubi all’anno – si scende infatti fino agli 88 euro di Milano e agli 86 di Isernia. Davvero pochi. Nel mezzo esatto, Bologna.

Il capoluogo emiliano “centra” con 241 euro la spesa media degli italiani per il servizio idrico integrato, una spesa composta da 5 voci (quota fissa, costi per i servizi acquedottistici, di fognatura, depurazione più l’l’Iva) che risulta ancora in crescita con un costo a metro cubo di 1,60 euro. Se consideriamo l’ultimo decennio, l’aumento medio è stato triplo rispetto al valore dell’inflazione (+78,6% contro +22,8% dell’indice dei prezzi, dati Istat) pur rimanendo l’Italia uno dei paesi europei dove l’acqua risulta meno cara. Ma anche i redditi – vien da dire – sono meno elevati e la disoccupazione è ai massimi livelli.

Insomma, come se non bastasse siamo all’ennesima voce che rincara a fronte di una giungla tariffaria difficile da giustificare, anche per via di una strutturazione dei prezzi abbastanza omogenea su scala nazionale. Ciononostante le differenze in euro appaiono mastodontiche da città a città, e, dicono in tanti, andrebbero livellate almeno su base regionale riducendo l’eccessiva frammentazione nella gestione del ciclo dell’acqua. Ma soprattutto andrebbero ridotte, sostengono tutti, tranne i milanesi, ovviamente, e più in generale i lombardi (a Monza spendono 128 euro, a Varese 132), né si possono lamentare quelli di Cosenza (110 euro) o di Imperia (133 euro) secondo una mappa che ridisegna un’Italia a mosaico, come impazzita.

A fornirci i dati aggiornati al 2013 è la XIII indagine nazionale a campione sulle tariffe firmata da Federconsumatori, Centro ricerche nazionale economiche, educazione, formazione (Creef). Il suo lavoro è stato di monitorare 112 città capoluogo di provincia. E meno male che hanno proceduto per capoluogo, poiché “all’interno di una stessa provincia – annota Mauro Zanini, responsabile del Creef ed esperto in materia – avremmo trovato anche cinque, sette, dieci sistemi tariffari diversi”.

Una storia travagliata L’estrema differenziazione si allarga ai tempi del servizio (dall’allacciamento ai reclami) ed è il portato di una storia travagliata del ciclo dell’acqua, con migliaia di piccoli acquedotti sparsi lungo lo stivale, assetti idrogeologici i più vari, diverse fonti di approvvigionamento, una rete di condutture obsoleta (di proprietà dei Comuni, in crisi di liquidità) con dispersioni idriche mediamente del 33% – dati Cittadinanzattiva e Legambiente – che in molti casi superano il 50% o 60% (vedi il box alla pagina precedente). Altri fattori da considerare sono i chilometri di rete servita (è più facile raggiungere le case a Milano e in altre grandi città che non nei paesini sperduti) e l’efficienza gestionale (dalla captazione al trattamento dell’acqua) la cui carenza impedisce a volte persino la continuità della fornitura. Succede ad Enna, costretta a contingentare i consumi per fasce orarie e a fronteggiare le emergenze con i cassoni sui balconi. Eppure davanti a sé ha solo tre città che la pagano di più…

Sulla questione idrica pesano anche investimenti dichiarati e poi mai eseguiti. “Abbiamo scoperto che solo il 56% negli ultimi anni è stato realizzato – rivela Zanini – la gente pagava preventivamente per nulla e la bolletta anche per questo lievitava”. Responsabilità gestionali che l’ultima di una serie di riforme del sistema di governance, al decollo dopo ritardi iniziali, punta a risolvere.

In base a una legge del governo Monti, il pallino è passato (dal 22 dicembre 2011) a un’authority nazionale, l’Autorità per l’energia elettrica il gas e ora anche il sistema idrico (AEEGSI), la quale ha il compito di applicare le linee di indirizzo del ministero dell’Ambiente e di definire i piani tariffari, per portare gradualmente il settore a una metodologia di calcolo più omogenea. Il tramite è il cosiddetto Metodo Tariffario Normalizzato. Dopo due anni di regime transitorio, dal gennaio scorso siamo in questa fase che dovrebbe produrre una tariffa unica su base regionale. Vedremo se sarà così. Di certo ci stiamo allontanando a passi svelti dalla logica degli Ato (Ambiti territoriali ottimali) ora accorpati e ridotti sensibilmente dagli 89 che erano. E alcune delle novità introdotte vengono apertamente apprezzate dalle associazioni di consumatori. Tra queste, l’addebitamento della quota per gli investimenti “solo” ad opera ultimata!

Aprendo la bolletta… Prendiamo adesso, attenendoci alle medie, le singole voci di una bolletta. La quota fissa (ex nolo contatore) rappresenta il 9% della spesa di una famiglia (21,9 euro). Si va da un minimo di 2,79 euro a Milano a un massimo di 82,2 a Gorizia. “Alzando questa quota – spiega Zanini di Federconsumatori – le aziende si coprono meglio dei costi generali della gestione”. La tariffa, invece, per il servizio acquedottistico si differenzia per fasce progressive di consumo e prevede una tariffa agevolata per i consumi più bassi, una tariffa base e da una tre tariffe per i consumi più elevati.

Questa fetta della torta, che rappresenta il 41% del totale della spesa (98,8 euro), è quella che incide maggiormente sul portafogli. Va sottolineato che se la fascia agevolata ha una dimensione media nazionale di 78 metri cubi, la definizione della stessa spazia da un minimo di 20 metri cubi ad Ascoli e a Fermo, a un massimo di 250 metri a Milano, che anche perciò (oltre alla ricchezza del suo bacino idrico) se la passa bene! La tariffa base si attesta sugli 0,80 euro/m3 ma è sulle tariffe di eccedenza (da una a tre, con valori assai oscillanti) che si produce il maggior divario sul territorio: un divario che vede il centro Italia sempre al di sopra delle medie nazionali.

E qui va aperta una parentesi per introdurre le tariffe pro-capite. Oggi sono applicate solo in nove città (tra cui Bologna, Modena, Napoli e Rovigo) ma quella di tener conto dei componenti del nucleo familiare è una tendenza in crescita e rappresenta, dice Federconsumatori – assieme alle carte dei servizi sulla qualità, alla tariffa sociale e alla promozione di campagne anti-spreco – “una battaglia di civiltà”. La tariffa pro-capite serve oltretutto a disincentivare gli sperperi e in futuro, con la diffusione programmata dei contatori digitali (smart meter), permetterà un controllo più preciso dei consumi “reali” delle famiglie, utile anche alla individuazione delle perdite nella rete domestica.

Picchi di morosità Le ultime due voci della bolletta prima dell’Iva riguardano il servizio di fognatura, che incide per il 13% sul totale (30,99 euro), e quello di depurazione che vale il 28% del totale (67,1 euro). Sulla depurazione va detto che l’Italia ha ricevuto varie condanne dalla Comunità europea e che c’è un bel po’ da fare. Tra una cosa e l’altra, si stima che il nostro paese abbia bisogno di investimenti complessivi nei prossimi cinque anni per 25 miliardi che non si sa bene dove andare a prendere. Preferibilmente non dalle tasche dei cittadini che indotti dalla crisi o per altre ragioni, come solleva Federutility (la federazione italiana delle aziende di servizi idrici ed energetici, che parla di “scarsa propensione al pagamento” dovuta a malcostume o all’impossibilità a “staccare” l’acqua ad utenze condominiali), la bolletta non la pagano più. L’indice di morosità si è infatti impennato nel giro di un anno e mezzo, dal 4,3% (pari a 860.000 famiglie) è quasi raddoppiato, con il Sud oltre la soglia del 12% e il Nord che si barcamena tra il 3 e il 3,5%. Molto più di quanto si registra nei settori del gas e dell’energia elettrica, che pure hanno bollette più salate.

settembre 2014

 

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