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Sesso ed educazione, stop ai tabù

E’ uno dei cardini della vita di chiunque, a qualunque età. Vi ruotano attorno equilibri e squilibri personali, di coppia e anche sociali. L’educazione affettiva e sessuale, in una parola la sessuoaffettività, potrebbe renderci più sicuri e consapevoli di chi siamo e che cosa vogliamo. E invece è una delle grandi illusioni (e delusioni) in un paese come il nostro che ne discute da almeno un secolo, ma che si ritrova tra gli ultimi, oggi, in Europa, in cui l’educazione sessuale non è obbligatoria nelle scuole. In compagnia di Lituania, Croazia, Slovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria. 

Nei 48 anni trascorsi dal 1975 a oggi si contano, nel Belpaese ancora imbottito di tabù (che non risparmiano le persone disabili, vedi intervista a pagina 21), ben 16 iniziative parlamentari cadute nel vuoto su questo tema, considerato delicato e molto divisivo, intrecciandosi con l’attuale dibattito sulle identità di genere. Invece l’educazione sessuale e affettiva sarebbe un diritto umano a sé stante. Un diritto alla salute fisica e mentale. Così è inquadrato dall’Obiettivo 3 dell’agenda 2030 dell’Onu e dalle linee guida Unesco del 2018, riprese nell’ultimo Gem report in cui si caldeggia un approccio “comprensivo” al tema che coinvolga più discipline scolastiche.

Peccato che tutto ciò che si fa, oggi, non rientri nei programmi ministeriali. È facoltativo, affidato all’autonomia scolastica (ma i fondi sono pochi), alle autogestioni negli istituti superiori (con il rischio di profonde incomprensioni, come avvenuto di recente al liceo Ariosto di Ferrara tra la preside e la segretaria di Arci Gay) o ai programmi delle Regioni (opzionali). I quali, denuncia un report dell’Ue, riguardano spesso l’aspetto biologico, sanitario e/o riproduttivo della sessualità, ignorando i risvolti sociali, psicologici ed emotivi che farebbero parte di un’esperienza piena dei ragazzi, come di tutti noi.

Porno education Ma perché se ne parla da tanto tempo senza approdare mai a nulla? «Alla fine diventa più semplice abbandonare i ragazzi al proprio destino», commenta Irene Donadio, consigliere strategico di Ippf (International Planned Parenthood Federation), organizzazione non governativa che promuove la salute sessuale e riproduttiva e sostiene le scelte di pianificazione familiare in 130 paesi del mondo. «Da una parte c’è paura di tutto ciò che crea contoversia e opposizione politica – è la sua analisi –, dall’altra ci sono sensibilità culturali e religiose assai diverse. Stiamo vivendo una fase di arretramento gravissimo rispetto agli anni Settanta – aggiunge –, quando almeno c’erano i consultori fuori dalle scuole che rappresentavano un punto di riferimento. Oggi sono realtà bistrattate e soffocate per mancanza di finanziamenti». 

Piaghe come l’aumento dei femminicidi e dell’odio di genere non hanno suggerito, ai vari governi, alcun passo avanti verso l’idea di una crescita armonica, olistica, delle tante parti che convivono in ciascuno di noi: una crescita lungo le varie tappe dell’età evolutiva, a partire proprio dai progetti di educazione all’affettività, alla sessualità e alla salute riproduttiva – come li chiama l’Aied, Associazione italiana per l’educazione demografica, che vi ha dedicato un convegno – fin dai primi anni della scuola dell’obbligo. Se va bene, all’interno delle classi si organizzano oggi “circle time” e altri momenti di ascolto. Ma è il porno, fuori, che dilaga, e abitudini sessuali non proprio corrette.

Assistiamo, infatti, a un pericoloso abbassamento sotto i 10 anni dell’età di frequentazione dei siti a luci rosse (con falso nome o dai cellulari dei genitori). E intanto il 20% dei 15enni (21,6% maschi contro 18,4% femmine) dichiara di aver già avuto rapporti sessuali completi, il 66% – secondo le rilevazioni 2022 del Sistema di Sorveglianza HBSC Italia, coordinato dall’Osservatorio dell’Istituto superiore di sanità – ha usato il condom come contraccettivo, l’11,9% la pillola e il 56,3% il coito interrotto. Ma c’è un elevato 12,6% di adolescenti che è dovuto ricorrere alla contraccezione di emergenza. 

Salendo di età, sappiamo che 8 studenti medi e universitari su 10 cercano su Internet le informazioni in ambito sessuale e riproduttivo (solo 1 su 4 chiede in famiglia). E questo anche se la stragrande maggioranza (94%) ritiene che sarebbe proprio la scuola la sede più idonea per avere le giuste conoscenze. Così dice lo studio pre-pandemico del ministero della Salute. 

Nel 2023, cioè otto anni dopo il Piano nazionale fertilità 2015 dello stesso ministero, tutte le iniziative che si volevano intraprendere sono rimaste lettera morta. Mario Puiatti, presidente Aied, vorrebbe ripartire da quella proposta: «È tempo di promuovere nelle scuole una corretta educazione ai temi della salute come materia di insegnamento trasversale, in linea con gli insegnamenti dell’Oms». E anche per l’Istituto superiore della sanità sarebbe la scuola il teatro ideale, essendo il luogo più frequentato da bambini e ragazzi: un posto “neutro” che svolge una funzione mediatrice tra famiglie, mass media e servizi sanitari.

In seno alla famiglia Molti osservano che se non abbiamo linee guida nazionali è anche per un movimento di crescente resistenza all’educazione psicoaffettiva e sessuale. Questo sebbene studi a tutti i livelli abbiano sottolineato i vantaggi che ne avremmo: riduzione dei comportamenti a rischio, promozione dei metodi contraccettivi e calo degli aborti, ma anche prevenire la violenza e la discriminazione di genere e domestica – come richiesto dalla Convenzione di Istanbul del 2011 –, nonché una risoluzione non violenta dei conflitti nelle relazioni interpersonali. 

Una certa aria, al contrario, soffia verso un’educazione ad appannaggio esclusivo delle famiglie, inseguendo Polonia, Ungheria e Lituania dove “certe cose” (specie se toccano l’omofilia) a scuola non si possono dire o vengono cancellate dai libri di testo. Ma la famiglia, da sola, è in grado di sostenere questo peso? «È una mega-lotteria: dipende da chi sono i genitori e da come s’interfacciano con i propri figli», risponde Donadio. ll mondo è diversissimo da quello della loro giovinezza, con cambiamenti assai più rapidi. Poi, è anche possibile – è il suo pensiero – che si prendano cura con successo dei figli, ma niente possano fare con i partner o con coloro che i figli incontreranno crescendo. La competenza familiare, insomma, è limitata: «Anche il più geniale dei genitori non può fare quello che altri genitori non hanno fatto», chiosa efficacemente Donadio. 

Una grande responsabilità è dunque in capo all’istituzione scolastica e allo Stato, che non possono abdicare al proprio ruolo. Va in questo senso anche una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di qualche anno fa, che respinse il ricorso di genitori ultraconservatori svizzeri che volevano esonerare la figlia di sette anni dall’educazione sessuale a scuola: le ore tra i banchi non violano la libertà di pensiero, coscienza e religione – ha inteso la Corte –, piuttosto “integrano” le nozioni fornite dalla famiglia in materia. E sotto c’è un discorso più ampio e profondo che riguarda la prevenzione dalla violenza, la capacità di proteggere sé e gli altri e di saper gestire in maniera gioiosa, e intelligente, la propria vita.

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