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Rapporto Coop 2016: la società italiana cambia, ma la crisi continua

Gente_in_citta.jpgAspettando l’uscita da una crisi economica e sociale che viene ogni anno rimandata (e la fotografia aggiornata al settembre 2016 dice che la ripresa si è fermata), gli italiani continuano però a cambiare, ad adattare e modificare il loro stile di vita, in un continuo alternarsi di luci ed ombre, di problemi e opportunità. Questo anche se le risorse economiche sono, se va bene, stazionarie: ma ciò non impedisce di registrare scelte in costante evoluzione, con modifiche destinate a durare nel tempo, cioè anche quando l’economia dovesse davvero ripartire.

È questo il cuore della fotografia che il Rapporto Coop 2016 consegna all’analisi e alla riflessione. Una serie notevole di dati e tabelle da cui emerge un paese che non se la passa benissimo, perché sostanzialmente più povero, più vecchio, con diseguaglianze che aumentano (specie tra nord e sud), ma nel quale le famiglie e le persone sono comunque sempre più attente alla salute, all’alimentazione, fanno scelte green, sono sempre più digitali, e cominciano a usare smartphone e altre tecnologie non solo per socializzare, ma anche per fare acquisti spendendo meno.

“Il nostro rapporto – spiega il direttore generale di Ancc-Coop, Albino Russo – ci racconta un Paese ingessato, dove la ripresa fatica a decollare, ma nel quale stanno nascendo dei “nuovi italiani”. Sono figli della recessione, cresciuti in una società sempre più liquida e flessibile, sono certamente più vecchi, più soli e più poveri ma sono oggi tra i più innovativi e sperimentali d’Europa. C’è una capacità di cogliere le opportunità che ad esempio vengono dalle nuove tecnologie e di usarle facendole diventare parte della vita quotidiana”.

Ma partiamo dall’inizio e cioè dal fatto che nel 2016 i consumi cresceranno dell’1,1% cioè quasi il doppio di un Pil previsto al +0,6%. Questa crescita dei consumi, che appare come un dato di ottimismo e disponibilità delle famiglie, è però molto disomogenea e concentrata su pochi capitoli (specie i beni durevoli come l’automobile). Cioè dopo anni di rinvii si è cambiato ciò che è diventato vecchio, fosse l’auto, il frigo o qualche mobile. Ma sul resto la prudenza nella spesa prevale decisamente.

Sentirsi più poveri Gli italiani del resto si sentono sempre più poveri. Se nel 2006, prima della crisi, un 60% di persone diceva di appartenere alla classe media e un 28% alla classe medio bassa, oggi, dopo 10 anni, si è verificata una clamorosa inversione: solo il 39% dice di appartenere alla classe media, mentre un 54% dice di appartenere alla classe medio bassa. Dunque l’ascensore sociale porta verso il basso e non a caso in Italia la quota di persone a rischio di povertà o esclusione sociale è del 28,5%, contro il 18,1% della Francia, il 20,3% della Germania, il 24,8% della Gran Bretagna (peggio di noi stanno solo Grecia, col 36,7% e Romania col 40,4%).

Se l’impoverimento è generalizzato, si aggiunge poi il fatto che comunque ricchezza e reddito premiano molto di più gli anziani rispetto ai giovani. Se sul piano del reddito quello di chi ha tra i 19 ed i 34 anni è mediamente di 16.133 euro, quello di chi passa i 64 anni è di 20.345. Se invece si sposta il paragone sul piano della ricchezza (cioè il patrimonio accumulato) il divario diventa ben più impressionante: sono 18.300 euro per una famiglia fino a 34 anni, contro i 154.000 euro per le famiglie over 64 (cioè un rapporto di quasi 1 a 8).

Dunque per i millennials, come vengono definiti i nati tra 1980 e 1995, cioè la generazione che dovrebbe essere la protagonista del futuro, c’è da fare una corsa ad handicap. Non a caso in questo gruppo (stimato in circa 8,6 milioni di italiani) prevale (col 48%) chi pensa che per mettere su famiglia sia fondamentale l’aiuto dei genitori, che risparmiare sia difficilissimo (45%), e che non riuscirà mai ad avere uno stipendio come quello dei genitori (40%). 

Siamo tutti digitali In questo contesto faticoso e difficile, gli italiani però non stanno fermi e hanno da tempo cominciato a reagire e adattarsi. Il primo trend, certo non solo italiano, è quello legato a tecnologie e mondi digitali, dal web ai social. Sull’uso degli smartphone siamo ai vertici assoluti. Basti dire che un 70% di intervistati spiega di consultare lo smartphone entro 30 minuti dal risveglio (la media Ue è del 60%, Germania 52%, Francia 42%). Con lo smartphone facciamo cose diverse che cambiano con l’età: i più giovani stanno sui social, poi c’è chi fa foto, mentro gli over 64 cercano notizie. In più siamo secondi solo agli Usa (23% contro 21%) per persone che utilizzano lo smartphone per fare acquisti.

Con un 33% di popolazione che è su Facebook, un 30% su Whatsapp e via scendendo, si scopre come però l’uso degli apparecchi digitali porti anche a interessarsi di sharing economy, cioè di quell’economia basta sullo scambio e sulla relazione diretta tra utenti.

Più green e attenti al benessere I cambiamenti nello stile di vita approdano anche ad altri ambiti, dove emerge una crescente attenzione alla sostenibilità e all’ambiente. Intanto cresce l’acquisto di prodotti naturali ed ecologici (quelli per la cura della persona scelti dal 64%, di persone, ma anche per la pulizia della casa scelti dal 40%). In più si riducono gli sprechi di cibo (facciamo meglio di tutto il nord Europa, ma anche di Spagna, Germania e Francia) e cresce la raccolta differenziata. Altra “sorpresa” è che il 50% degli italiani ha acquistato o venduto oggetti usati e molti di loro lo hanno fatto usando il web e internet come canale.

Altro capitolo del cambiamento in atto è la ricerca della salute attraverso l’attività fisica. Che non significa fare sport in senso tradizionale, ma anche solo usare le scale al posto dell’ascensore (85%), muoversi a piedi (77%), fare le pulizie in casa a tempo di musica (50%), fare pause in ufficio per muoversi (50%).

Il tema benessere ha infine una ricaduta evidente sull’alimentazione: un’alimentazione che non solo per colpa della crisi economica, vede ridursi i consumi di carne e cereali. Una delle novità di fondo è che sulle tavole degli italiani c’è meno cibo in quantità assolute. Se dal dopoguerra a fine secolo scorso le quantità erano progressivamente cresciute (sino ai 2,58 chili di consumo medio procapite nel 2000), da allora è iniziata una discesa che, per molti, è sicuramente voluta: per cui siamo a 2,33 chili nel 2016.

In un raffronto 2016 sul 2015 la carne fa meno 4,1%, mentre il pesce cresce del 5,2% calano latticini e formaggi (meno 1,8%) e crescono frutta fresca, più 4,3% e verdura, più 0,9%.

uSi confermano poi trend di cui abbiamo già più volte parlato, con l’aumento del consumo di prodotti biologici (più 21% nel 2016) e di prodotti salutistici: da quelli “con” (più 1,4%), cioè ricchi di fibre, di omega 3, di fermenti o gli integratori, a quelli “senza” (più 5,7%) perché privi di glutine, lattosio, sale o altro. Ultima citazione per i cibi e le cucine etniche che gli italiani stanno scoprendo e hanno voglia di sperimentare anche nei consumi casalinghi.

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