“Apre una biblioteca è un’investimento in perdita o in attivo? Nell’immediato magari è una perdita di risorse. Ma ovviamente sappiamo tutti che non è così. Perché una biblioteca genera valori che non sono misurabili”. Parola di Marino Sinibaldi. La sua voce la conosciamo bene, perché lui è il direttore di Rai Radio 3. Più che una radio un’istituzione culturale, una comunità di ascoltatori che si aggrega intorno al racconto e al commento della vita culturale del paese.
Direttore, come si possono misurare gli effetti positivi della cultura sulla società? E ha senso farlo
Sottovalutare gli effetti positivi a lungo termine di investimenti ‘a perdere’ come quelli della cultura significa disconoscere ad esempio, il valore di un’invenzione. A cosa serve un’invenzione, prima che serva a qualcosa? Nasce dallo sprecare tempo, o no? E in fondo, cosa è stato il nostro Rinascimento? Pensiamo a quanto ancora dobbiamo al Rinascimento… Attraverso quel linguaggio il nostro paese ha dato identità a se stesso. Insomma, quando parliamo della necessità di investire sulla cultura dovremmo essere capaci di non fare calcoli. Proprio perché sono impossibili da fare. La cultura non è solo un fatto economico, ma anche sociale di incalcolabile valore.
Gli investimenti sulla cultura generano anche posti di lavoro, però…
Certo, ma questo è scontato. Quello che un investimento sulla cultura genera, è qualcosa di molto diverso, ovvero genera nel tempo una società più avanzata. Come paese siamo a un bivio: o investiamo nella formazione, nell’istruzione, nella ricerca e nella cultura, che è la strada dei paesi più avanzati, oppure ci tagliamo il futuro. Senza considerare che aumenterà ancora il divario tra l’Italia e gli altri paesi che continuano a investire. Semplicemente finiremo all’angolo, e perderemo la nostra capacità di capire il mondo – oltre che i posti di lavoro. La cultura, infine, ci consente di risparmiare: prendiamo ad esempio un fatto come la tragedia di Lampedusa. Al festival dell’Internazionale a Ferrara se ne è parlato tanto, erano quei giorni lì. Chi c’era ha potuto rendersi conto che attraverso lo studio, le ricerche serie sui meccanismi di emigrazione e la storia di quei popoli, potremmo capire qualcosa di più di quel che accade e quindi intervenire senza buttare soldi dalla finestra. Invece oggi qualsiasi intervento nasce dalla lettura caricaturale del fenomeno fatto dal giornalismo e dalla politica. Così pagheremo prezzi sociali altissimi e rimarremo vittime dei nostri pregiudizi.
Anche i consumi culturali calano…
C’è un’Italia che vive per la cultura, va ai festival, si fa le file e fa sacrifici… Ma c’è anche un’Italia che ha ridotto le proprie attese a tutti i livelli, anche quelli culturali. Guarda solo la tivù e si rinchiude nella propria dimensione domestica, privata. La tendenza è questa, purtroppo, e non è solo una statistica. Ecco, dobbiamo cercare di non cadere nella tentazione di richiuderci nei nostri spazi, dobbiamo cercare di non chinare la testa…