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Pressione fiscale: è più alta nelle coop che nelle società per azioni

Fisco.jpgValgono l’8,5% del Pil italiano, con un valore della produzione che ha superato i 108 miliardi di euro. Nel quinquennio 2008-2013 (cioè gli anni più bui della crisi) hanno messo a segno una crescita del 14% pari a circa 10 miliardi di euro. Hanno aumentato gli occupati di oltre 100 mila unità arrivando alla quota complessiva di 1 milione e 257 mila dipendenti a fine 2013, con una percentuale di assunti a tempo indeterminato (cioè stabilmente) che è intorno al 75%. Parliamo delle quasi 70 mila cooperative italiane (67.062 cooperative più 1.904 consorzi e 376 banche di credito cooperativo), fotografate in un imponente lavoro da parte dell’Euricse, l’Istituto Europeo di ricerca sull’impresa cooperativa e sociale (www.euricse.eu/it), che ha analizzato i dati di 28 mila bilanci sull’arco di cinque anni. Un lavoro prezioso, che conferma il ruolo che questa forma di organizzazione economica svolge, ma che riserva anche qualche grossa sorpresa, specie per i molti osservatori esterni condizionati da vecchi luoghi comuni e da qualche pregiudizio. La sorpresa consiste nel fatto che, raffrontando l’insieme di voci che definiscono la pressione fiscale complessiva, le imprese cooperative pagano più “tasse” delle società per azioni: esattamente la pressione fiscale sulle prime, nel 2013, era pari al 7,7% sul valore della produzione, contro il 6,8% delle Spa (Società per azioni). Si aggiunga a questo che, mentre come già detto, le cooperative hanno continuato a crescere e ad assumere, le Spa, nel quinquennio 2008-2013, hanno ridotto l’occupazione di 500 mila unità.

Le differenze della cooperazione Quel che emerge dal lavoro che abbiamo fatto – spiega il professor Carlo Borzaga, presidente di Euricse e docente di economia all’Università di Trento – è che la cooperazione più che anticiclica, rispetto all’andamento del mercato, è aciclica, nel senso che è strutturalmente orientata verso priorità diverse da quelle delle altre imprese private. Questo perché le cooperative nascono e vivono per rispondere ai bisogni dei propri soci. Chi aderisce o lavora in una cooperativa è questo che chiede. Ciò mette inevitabilmente al centro il tema del lavoro e del ruolo delle persone.

Dunque questo spiega perché le società per azioni abbiano avuto una reazione opposta di fronte alla crisi, perché sono portate a tutelare il capitale, e, adeguandosi all’andamento del ciclo, di fronte alle difficoltà riducono il costo del lavoro licenziando le persone o scaricano il problema sullo Stato ricorrendo agli ammortizzatori sociali. Il risultato è che durante questi lunghi anni di crisi la risposta delle cooperative nel suo insieme ha garantito un saldo occupazionale positivo, al contrario di quanto avvenuto nelle Spa. Il che non vuol dire che non ci siano state cooperative che hanno incontrato difficoltà anche molto dure. Ma guardando al dato relativo ai settori più colpiti, come può essere l’edilizia, sul piano della difesa dei posti di lavoro, le cooperative si comportano comunque meglio delle imprese di capitale. Ovviamente questi risultati sul piano dell’occupazione sono derivati anche da una scelta che le cooperative hanno fatto di ridurre drasticamente i profitti, come emerge dai bilanci che abbiamo studiato: da 500 milioni di utile ad inizio periodo, nel 2012 si arriva addirittura a un dato negativo”. Dunque l’equazione è semplice: difesa dell’occupazione, ma meno profitti, proprio perché il fattore lavoro è nella cooperativa un elemento centrale.

L’analisi di Borzaga fornisce un’evidenza piena del bisogno e della necessità di avere nel nostro paese (ma non solo), un pluralismo di forme economiche, nel quale la cooperazione possa continuare a svolgere un ruolo importante e positivo visto il fortissimo bisogno, specie pensando ai più giovani, di creare lavoro e di costruire le condizioni per uno sviluppo sostenibile.

Pressione fiscale e Spa L’indagine Euricse fornisce poi, sempre nel raffronto con i bilanci delle Spa, altre cifre che parlano da sole. Nel periodo 2007-2013, vista la loro crescita, le cooperative hanno costantemente incrementato il loro apporto alla finanza pubblica, mentre le Spa lo hanno diminuito. Sommando infatti i differenziali annuali in questo periodo, si rileva che le cooperative hanno versato alle casse dello Stato 5 miliardi e 475 milioni in più di quelli che avrebbero versato mantenendo la produzione al livello del 2007. Nello stesso periodo le Spa hanno invece ridotto il loro contributo all’erario di ben 15 miliardi e 735 milioni.

E qui si arriva alla questione della pressione fiscale, principale tema su cui pesano i luoghi comuni e i pregiudizi citati all’inizio. “Sostanzialmente, l’unico vantaggio fiscale di cui la cooperazione gode è la detassazione degli utili non distribuiti, un vantaggio che per altro nel corso degli anni ha subito progressive limitazioni sino a quelle introdotte da Giulio Tremonti quando era ministro delle Finanze – spiega Borzaga -. Questo vantaggio, per altro, è legato a precisi vincoli che le imprese cooperative devono rispettare, proprio a garanzia di quei principi di mutualità e intergenerazionalità che sono alla base della cooperazione. Ma, chiarito questo, la tassazione che un’impresa subisce non si chiude certo col capitolo dell’Ires entro cui sta il tema degli utili che abbiamo citato. Le imprese pagano tasse anche in altre forme che sono l’Irap, le tasse sul lavoro e attraverso gli oneri sociali a carico del lavoratori. Quando si parla di pressione fiscale, si deve far riferimento a tutti questi elementi mettendoli in rapporto col valore della produzione. Dunque, se si vogliono fare raffronti corretti e omogenei, tra cooperazione e Spa, è bene partire da qui e non limitarsi a una singola voce. Ed è quanto abbiamo fatto noi, ricavando per la prima volta un indicatore che svela come in realtà siano le cooperative ad avere una pressione fiscale maggiore. Questo in tutti e sei gli anni coperti dalla nostra indagine”.

Dunque il risultato è che la pressione fiscale delle cooperative è stata del 7,7% sul valore della produzione, rispetto al 6,8% delle Spa (nel 2013), con uno scarto sostanzialmente costante negli anni dal 2007 in poi.

Per chi volesse conoscere più nel dettaglio dati e metodologie dell’indagine, sul sito Euricse sono disponibili sia una sintesi, sia l’intera indagine in tutti i suoi capitoli.

novembre 2015

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