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Pochi fondi per cultura e istruzione: l’Italia è il paese dell’ignoranza?

Bambino_libri.jpgA noi italiani ce lo ripetono da un po’, che siamo indietro sulla cultura e sull’istruzione. Ce lo dice anzitutto l’Ocse, che ha misurato le nostre competenze sia linguistiche che matematiche scoprendo che il 70% e più degli italiani non è in grado di leggere o scrivere un testo di media complessità. “Si tratta di persone – ha detto il linguista Tullio De Mauro commentando questi dati – definite al di sotto dei requisti minimi per orientarsi nella vita di una società moderna. All’interno di questo 70%, poi, c’è inoltre un 33% di persone che fatica anche a leggere frasi semplici, e sono perciò tagliate fuori da ogni informazione veicolata in forma scritta: avvisi al pubblico, cautele contro infortuni, indicazioni su medicinali, istruzioni per l’uso e, ovviamente, libri e giornali”. 

Consumi culturali in calo 

Con una situazione così drammatica da un punto di vista della comprensione alfabetica e matematica, ovvio che calino anche i consumi culturali. Lo ha anche misurato l’Eurobarometro: appena l’8% ha molto interesse per i prodotti culturali come cinema, teatro, libri. Si dirà, forse è anche a causa della crisi… Invece no: in Italia si è ridotto anche il consumo di programmi culturali di TV e radio, che non costano nulla. Colpisce in particolare l’ulteriore calo del 7% della lettura di libri, visto che si parte comunque da un dato bassissimo: solo il 56% degli italiani ne ha letto almeno uno negli ultimi 12 mesi. Il rischio che corre il paese non consumando i prodotti del sapere non è solo riferito alla mancata crescita individuale delle persone, e alla perdita di senso critico, ma è anche un fatto economico: l’industria culturale (cioè editoria, cinema, musica e produzioni televisive) vale il 4,5 del Pil e occupa 300mila persone. Che diventano 4,5 se calcoliamo tutto l’indotto legato alla cultura.   

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Il boom dei social

Si mollano libri e giornali, ma crescono i social network: Facebook è frequentato dal 70% delle persone che utilizzano internet. Che sono ancora in crescita, dice l’ultimo rapporto del Censis. Visto che sono ormai il 63,5%; ma la percentuale sale nettamente nel caso dei giovani (90%), delle persone più istruite, diplomate o laureati (84%) e dei residenti nelle grandi città (83%). 

La crisi taglia i fondi

Per la cultura spendono poco gli italiani e spende poco, sempre meno, anche l’Italia. Lo segnalano i budget statali per cultura e istruzione, che sono tra i più bassi dell’Ue: il bilancio del ministero dei beni e delle attività culturali è passato dai 2,7 miliardi di euro del 2001 a 1,5 miliardi del 2013, e anche per l’istruzione siamo tra gli ultimi in rapporto al Pil. Sarà per questo che la nostra scuola produce diplomati poco formati in relazione al mercato del lavoro? “I giovani – ha spiegato il governatore di Bankitalia Ignazio Visco al Sole 24Ore – trovano nel sistema scolastico un’offerta formativa spesso inadeguata e ancora tradizionale, pagando con bassi salari e condizioni di lavoro precarie l’incompatibilità tra ciò che sanno e ciò che viene loro richiesto”. Di fatto, oramai si è sancita una sostanziale disparità tra le opportunità di studio e di formazione: “Chi è abbiente può frequentare le migliori università, anche all’estero – ha detto al nostro giornale Elisa Manna responsabile settore politiche culturali del Censis – viaggiare, studiare le lingue e specializzarsi. Chi appartiene alle classi meno abbienti non scommette più sulla cultura, e perciò sul futuro, dei propri figli”. 

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Più sei povero e meno studi 

Infatti, sono calate le iscrizioni universitarie dei ragazzi con diplomi tecnici o professionali tradizionalmente provenienti da famiglie meno agiate (in meno di 10 anni del 40%) – e sono aumentate quelle iscrizioni dei diplomati dei licei (dell’8% nello stesso periodo di tempo). Quel che non aumenta è la percentuale italiana di laureati, tra le più basse dell’Unione: il 13,8% nel 2012. La media europea è del 30%. Il nostro paese – ha scritto lo scrittore Marco Lodoli che da anni si occupa anche di scuola – “è tornato ad essere ferocemente classista: ai poveri gli si  butta un osso e un’emozione della De Filippi, li si lascia nell’abbrutimento e nell’ignoranza, mentre ai ricchi si aprono le belle strade che vanno lontano”. E si aprono attraverso l’istruzione che spesso lascia indietro chi non proviene dalle famiglie più fortunate. 

L’importanza della grammatica

“La fortuna di un popolo dipende dalla stato della sua grammatica. Non esiste grande nazione senza proprietà di linguaggio”, scriveva Fernando Pessoa, un poeta che di linguaggio s’intendeva. E anche sul fronte della grammatica il futuro è fosco. Forse perché si leggono pochi libri, o forse perché l’unica scrittura – e lettura – molto praticata è quella sui social network, ci portiamo dietro un’ondata di errori grammaticali che farebbero sobbalzare sulla sedia una maestra elementare. “Ha” senza acca, congiuntivi inesistenti, doppie che saltano… sì scriviamo molto – e per molti linguisti, come De Mauro, “l’importante è che si scriva o si legga e in fondo i social network hanno incrementato lettura e scrittura” – ma spesso scriviamo in modo sbagliato trascinandoci dietro errori e diffondendoli. È  involuzione o evoluzione del linguaggio? Non è un caso che il sottosegretario all’istruzione Marco Rossi Doria, con un’esperienza da maestro e grande combattente per il diritto all’istruzione dei ragazzi del sud, spiega nell’intervista che pubblichiamo in queste pagine che è importante continuare a lavorare “come una volta: fare il dettato, curare l’ortografia, saper fare le operazioni, eccetera. Questi sono i cosiddetti alfabeti di cittadinanza: conoscenze e competenze irrinunciabili”. 

Un paese perdente

Ma i danni dell’incultura non si limitano a qualche doppia persa per strada. Perdere sul fronte della cultura significa anche perdere sul fronte sociale ed economico. “Un paese ignorante è un paese che con maggiore difficoltà può uscire dalla crisi che ci attanaglia” scriveva qualche tempo fa il filosofo Umberto Galimberti. “Una società che non comprende ciò che legge e che non sa utilizzare le proprie conoscenze matematiche per interpretare i numeri riportati sui giornali o che sente in televisione, è una società schiava di chi la governa”, ha sintetizzato Roberto Saviano in un suo articolo di qualche tempo fa. Un paese ignorante è un paese perdente su tutti i fronti, spiega ancora Visco: “Per il sistema produttivo un capitale umano adeguato facilita l’adozione e lo sviluppo delle nuove tecnologie, costituendo un volano per l’innovazione e quindi per la crescita economica e per l’occupazione. Formazione dei lavoratori, abilità manageriali e capacità organizzative rappresentano risorse fondamentali nell’ambito del cosiddetto “capitale basato sulla conoscenza”. Qual’è la strada oggi per recuperare il tempo perduto e rifondare una società della conoscenza che ci consentirebbe di uscire da questa emergenza? Noi lo abbiamo chiesto al sottosegretario all’istruzione, convinti, con lui, che l’unica strada possibile sia quella di puntare sull’istruzione, arginando la dispersione scolastica soprattutto al sud. Per ricominciare a leggere e a studiare. Piccoli e grandi.

Silvia Fabbri (gennaio-febbraio 2013)

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