Diverse centinaia di aziende prima sequestrate e poi confiscate alla criminalità organizzata che, per colpa di una giustizia dai tempi biblici e di una legislazione inadeguata, anziché ripartire nel segno della legalità finiscono col fallire e chiudere, col danno ulteriore di migliaia di lavoratori che si trovano senza occupazione.
Proprio contro questo paradosso, Legacoop, Cgil, Arci, Acli, Confesercenti Sos Impresa, Avviso Pubblico, Libera e altre associazioni, hanno lanciato la raccolta di firme (che durerà sino a maggio) per promuovere una proposta di legge di iniziativa popolare. Si può firmare tutti i giorni presso gli Urp e gli uffici elettorali dei Comuni, e anche in appositi appuntamenti pubblici organizzati dalle associazioni aderenti, che non a caso sono tutte storicamente coinvolte nella battaglia per far sì che i beni dei mafiosi diventino una occasione di rinascita e di lavoro per i giovani e le popolazioni coinvolte.
Ma per capire meglio il valore di questa iniziativa di legge è bene ricordare che le mafie sono la holding più prolifica del nostro paese. Fatturano più di 170 miliardi l’anno, sottraendo risorse fondamentali all’intero sistema economico italiano. Alla violenza e alla condotta criminale hanno aggiunto da tempo capacità imprenditoriali e abilità finanziarie. Ricostruire le condizioni per la legalità economica è dunque una delle prime risposte necessarie per uscire dalla crisi, ridando dignità al lavoro e redistribuendo in modo più equo la ricchezza. Per fare ciò aggredire i patrimoni mafiosi è prioritario.
In termini operativi le aziende confiscate in via definitiva sono 1.639, mentre quelle sequestrate potrebbero essere dieci volte tanto. Dall’inizio della crisi le aziende confiscate alla criminalità sono aumentate del 65%. Tutti i settori produttivi sono coinvolti, dal terziario (45%), all’edilizia (27%) e l’agroalimentare (8%). È possibile trovare aziende sequestrate e confiscate in tutta Italia. Le regioni con il numero più alto sono la Sicilia (37%), la Campania (20%), la Lombardia (12%), la Calabria (9%) e il Lazio (8%).
Ma il punto critico è che, secondo i dati dell’Agenzia nazionale per i beni confiscati il 90% delle aziende confiscate fallisce a causa dell’inadeguatezza dell’attuale legislazione incapace di garantire gli strumenti necessari per l’emersione alla legalità e valorizzare a pieno l’enorme potenzialità economica di queste aziende.
Ad oggi la stessa Agenzia non è in grado di quantificare il numero del lavoratori coinvolti in questo fenomeno. Secondo i promotori dell’iniziativa di legge, facendo una stima al ribasso, si può pensare che siano più di 80.000.
Dando per buone le stime dell’Agenzia relative al fallimento del 90% di queste aziende il quadro che emerge è devastante: circa 72.000 lavoratori e lavoratrici – sempre più spesso inconsapevoli della mafiosità del proprio datore di lavoro – hanno pagato con il licenziamento e la disoccupazione l’inadeguatezza delle istituzioni nel valorizzare queste aziende. Tra un sequestro e una confisca passano circa 8 anni, un lasso di tempo insopportabile.
E proprio a porre rimedio a questi problemi puntano i contenuti della proposta di legge per la quale tutti i cittadini hanno la possibilità di firmare.
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