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L’impossibile mestiere del libraio

Libro.jpgIn un paese dove più della metà delle persone non legge mai – nè mai leggerà – neppure un libro all’anno, una libreria è una sfida all’impossibile. Tant’è vero che Romano Montroni, consulente di Librerie.coop, per parlare del proprio mestiere ha scritto un libro dal titolo “Vendere l’anima”.  

Romano Montroni, che significa fare il libraio in un paese che è tra i meno appassionati alla lettura in tutta Europa? 
In Italia si è sempre letto poco, ma adesso, col crollo dei consumi, si legge ancora meno. C’è un calo percentuale tra i 4 e i 5 punti sia come valore che come numero di libri venduti. Ma a leggere di meno sono forse i lettori occasionali. Cioè quelli che compravano un libro ogni tanto, magari solo best seller. Libri come 000 di Saviano o l’ultimo di Dan Brown hanno venduto certamente un grande numero di copie, ma meno rispetto ai loro titoli precedenti. Quel che intendo dire è che chi è in difficoltà economiche, o ha perso il lavoro, se prima comprava adesso non compra più. Librerie.coop va abbastanza bene – cioè perde pochissimo rispetto a un mercato che è decisamente al ribasso – perché i nostri clienti sono lettori forti, i cui acquisti sono più che altro di catalogo.

Quali sono secondo lei le ragioni di un così scarso appeal della lettura in Italia, anche tra i giovani, freschi di scuola?
Non è certo colpa dei librai! Le cause vanno ricercate nel sistema scolastico. Faccio un confronto con l’Inghilterra per chiarire quel che intendo: quando Tony Blair fu eletto, per festeggiare regalò agli studenti del regno 5 sterline da spendere esclusivamente nell’acquisto di libri. Nella scuola pubblica inglese gli studenti stanno due ore in aula e quattro ore in biblioteca a lavorare. Da noi, anche nei migliori licei d’Italia, gli studenti difficilmente hanno l’uso della biblioteca. E così nel Regno Unito il 70% degli inglesi legge, da noi  il 42%. Un popolo di lettori si forma a partire dalla scuola.

Magari le librerie sono poco attrattive. Molta gente compra su internet… 
Intanto le librerie per essere attrattive non possono essere non-luoghi (tipo i megastore), ma devono diventare luoghi. Poi deve esserci dentro gente che sa lavorare: il librario deve sapere di cosa parla. Come il salumiere, del resto. Io ho diretto per 22 anni una grande catena di librerie (Feltrinelli, ndr), e allora tutti i ragazzi assunti erano formati per sei mesi. Poi li si mandavano in trincea, tra gli scaffali. Voglio dire che la libreria del futuro, per sopravvivere, deve essere di qualità, anche nel rapporto con i lettori. Certo, Internet è oggi un grande concorrente per i librai. Ma siamo al 4% di mercato. Per questo restano importantissime le librerie e i librai.  

I lettori – i pochi lettori – sono cambiati in questi anni? Come?
Più che altro è cambiata la produzione editoriale. Un esempio? La saga delle “Sfumature”… Ecco qui si può vedere chiaramente il tentativo di trovare dei lettori nuovi, di avviare un nuovo filone, quello erotico. Di fare un business, insomma. Del resto le vendite della prima “sfumatura” – è stato un tale successo che non s’era mai visto, in Italia. Lì s’è creata una tendenza e lì sono sono nati anche nuovi consumatori occasionali… Ma quanto dureranno?

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