Mentre l’Italia vive una situazione politica post-elettorale nella quale si fatica a vedere una prospettiva di governabilità, di cui c’è invece urgente bisogno, da un punto di vista sociale ed economico l’Europa si trova in una grandissima difficoltà che per noi è ancora più acuta. Da molti anni il nostro paese non ha una crescita vera, ha perso quote nei mercati mondiali, vede aggravarsi i suoi ritardi strutturali e gli squilibri sociali. Peggiorano drammaticamente le condizioni di vita di parti importanti della collettività e i giovani hanno sempre meno opportunità di lavoro.
Di fronte a questa situazione, posta la necessità che l’Europa imbocchi una strada più equilibrata tra l’esigenza di tenere sotto controllo i debiti pubblici e quella di promuovere la crescita, avremmo bisogno di un’Italia più equa, più solidale, più sostenibile e più liberale. Più equa, per assicurare una distribuzione più equilibrata della ricchezza, condizione ineludibile per aumentare i redditi delle fasce più deboli e rilanciare i consumi.
L’equità va di pari passo con la solidarietà. Detto in sintesi: chi ha di più paghi di più, perché colpire tutti nello stesso modo significa colpire di più i più deboli. Un’Italia più liberale. Perché ci sono ancora troppe rendite, troppa gente che guadagna più di quello che sarebbe giusto; c’è un eccesso di burocrazia che impone un costo straordinario a cittadini e imprese, mentre servirebbe uno Stato amico, che favorisca la voglia di partecipazione e di assunzione di responsabilità.
Per questo il mondo cooperativo, anche attraverso la costruzione dell’Alleanza delle Cooperative Italiane, sostiene l’idea di un’economia sociale e solidale che non veda in campo solo il mercato che produce la ricchezza e lo Stato che, con le tasse, ne preleva una parte con cui garantisce i servizi. Noi pensiamo che la dicotomia tra una gestione diretta, e spesso inefficiente, da parte della mano pubblica e l’affidamento a privati che inseguono la logica del profitto, possa essere superata con un protagonismo dei cittadini che, sostenuti dagli enti pubblici, possono gestire i servizi di interesse comune in forma associata o cooperativa.
Tutto questo presuppone, però, una politica che riconquisti la fiducia, che riprenda il suo ruolo di guida autorevole, attraverso cambiamenti radicali: taglio drastico al finanziamento pubblico ai partiti, disboscamento degli enti e delle aziende pubbliche, semplificazione istituzionale.
Più nello specifico, per dare impulso alla ripresa è necessario che lo Stato rimetta in movimento l’erogazione del credito alle imprese ed assicuri il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni alle imprese, altrimenti destinate a fallire.
Ancora: andrebbero favorite le attività positive per l’ambiente: risparmio energetico, produzione di energie rinnovabili, mobilità sostenibile.
La crisi, infatti, ha prodotto molti danni, ma anche un cambiamento di atteggiamento dei cittadini nei confronti della vita e dei consumi. È quindi immaginabile che sia necessario riposizionare le stesse imprese, la loro modalità di produrre, i loro prodotti. Così come i cittadini guarderanno con più attenzione al loro benessere e che cresceranno i consumi ad esso legati.
Si profila, insomma, un processo di “riposizionamento” che riguarda l’intera società. Il “pensiero” prevalente negli ultimi anni, quello del profitto immediato e ad ogni costo, lascia sempre più spazio alla consapevolezza che le persone non sono ciò che hanno, ma ciò che fanno. Vale il loro sistema di relazioni. Questo autorizza a pensare che l’idea, alla base dell’esperienza cooperativa, del fare insieme, assuma un rilievo maggiore.
C’è da sperare che chi governerà il paese ne sia consapevole e decida di investire, con un atto di fiducia nei confronti dei cittadini italiani, aiutandoli ad assumere questa responsabilità di partecipazione e di gestione comune e collettiva.
L’editoriale di Giuliano Poletti: “I bisogni [br]di quest’Italia”

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