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La filiera pulita: cosa fa Coop contro caporalato e sfruttamento

Racccolta_agrumi.jpgÈ una di quelle vicende drammatiche, tipicamente italiane, che periodicamente ritornano al centro dell’attenzione, magari a seguito della morte di un lavoratore o per una qualche tensione sociale che esplode. Poi tutto torna in un apparente cono d’ombra, sino alla successiva crisi. Parliamo di quei fenomeni di feroce sfruttamento dei lavoratori, in larga parte stranieri, impiegati stagionalmente in diverse tra le più importanti filiere agricole: da quella della raccolta del pomodoro (in estate) a quella delle clementine e delle arance (tra autunno e inverno), ma anche dell’uva o di altri tipi di prodotti.

Parliamo di fenomeni concentrati in larga parte nelle regioni del sud (Puglia, Calabria, Campania e Sicilia), ma che hanno fatto la comparsa anche al nord (il più noto è il caso di Saluzzo in Piemonte). Parliamo di fenomeni di caporalato, di lavoro nero, di orari “impossibili” per paghe miserabili, di migliaia di persone che, proprio per la stagionalità delle raccolte, si spostano in un dato territorio per lavorare e, prive di alloggio, finiscono così per dormire in ghetti fatiscenti, magari trovandosi a restituire un’importante parte della loro paga agli stessi “caporali”, come affitto. 

Fenomeni drammatici Questo solo per citare i tratti più noti di un fenomeno drammatico e, purtroppo, ancora ben presente, anche se certo non tutta la realtà si ritrova in questa descrizione. E comunque in tanti, sindacati, associazioni, gruppi di volontariato, cercano di contrastare quotidianamente col loro lavoro e la loro attività questo stato di cose. Ma, proprio per fare un passo avanti nella comprensione di una situazione comunque complessa, quel che qui vorremmo tentare è raccontare anche lo sforzo di chi, lavorando costantemente in rapporto con queste filiere agricole e con questi problemi, come succede a Coop, è costantemente impegnata, già da diversi anni a combattere e prevenire fenomeni di sfruttamento e a garantire ai consumatori che i prodotti che poi finiscono sugli scaffali dei supermercati vengano da una filiera controllata ed eticamente garantita. Perché questo è il punto, offrire ai consumatori prodotti etici e garantiti è possibile. È cosa che già oggi avviene, ma per farlo occorre mettere in campo procedure, controlli e attività che richiedono una precisa volontà (e risorse a questo destinate). 

Coop, perché catena leader e per il suo essere una realtà cooperativa, è stata spesso tirata in ballo (a volte in modo del tutto immotivato e fuori luogo), partendo dal peso che la grande distribuzione ha su questi mercati e su queste filiere. Ma se gli stimoli a migliorare le proprie azioni sono più che mai utili, racconti in cui tutti sono ugualmente “cattivi” non aiutano a far passi avanti.

Uscire dall’emergenza Il punto, come segnala il rapporto “Filiera sporca 2015” (www.filierasporca.org), dedicato in particolare alla raccolta delle arance e messo a punto dalle associazioni “da Sud”, “Terrelibere” e “Terra!”, è che “quella dei migranti e dei braccianti agricoli sono emergenze perenni che vanno avanti da anni, senza soluzione di continuità. Emergenze false perché strutturate sempre con le stesse caratteristiche. Conosciute e prevedibili. Per questo bisogna smettere di trattarle come è stato fatto negli ultimi anni, aspettando il tempo delle raccolte per dare il via a una nuova “crisi umanitaria”, perché quell’emergenza ritornerà puntuale ogni anno”.

Ovviamente per prevenire queste crisi serve un impegno su più fronti, che coinvolga istituzioni pubbliche, forze di polizia e soggetti addetti ai controlli, gruppi del volontariato e dell’associazionismo e le imprese lungo tutta la filiera.

Le caratteristiche del problema di cui parliamo sono a grandi linee quelle riportate all’inizio, anche se con evoluzioni e cambiamenti che si registrano di anno in anno, come ad esempio la sempre più alta presenza di lavoratori comunitari (specie rumeni) che si sono fatti largo, avvantaggiati sul piano della regolarità dei documenti (perché cittadini Ue). Poi ci sono le migliaia di migranti africani, più spesso facili prede di caporali e sfruttatori, per diversi motivi che vanno dalla minor conoscenza della lingua, al non essere in possesso di documenti regolari, al fatto di essere più spesso persone sole.

Cosa fa Coop Ma veniamo al racconto di ciò che Coop fa concretamente da anni per combattere queste piaghe e questi problemi.
“Nella distribuzione Coop è il soggetto che esercita il maggiore sforzo nella battaglia per la legalità, l’etica e il rispetto dei diritti dei lavoratori. Con il 2016 a questi aspetti dedicheremo una specifica attività di comunicazione, per spiegare all’opinione pubblica quello che facciamo e  ancora più sforzi e risorse per rivendicare la coerenza del nostro impegno  – spiega il presidente di Coop Italia, Marco Pedroni – Non a caso Coop Italia è stata la prima azienda in Europa a certificarsi nel 1998 secondo lo standard SA8000. Da allora abbiamo fatto tanta strada. Ai fornitori di prodotti a marchio Coop si richiede la sottoscrizione di un codice di comportamento etico basato su questo standard e vengono inoltre effettuate verifiche lungo tutta la filiera. Queste attività (come raccontiamo in altri servizi su queste pagine ndr)  sono comprensive di interviste anonime ai lavoratori (in particolare sul rispetto degli orari di lavoro e dei salari), nonché di una raccolta di informazioni dagli stakeholder locali (sindacato, associazioni, Ong), il tutto tramite operatori qualificati e indipendenti. Parliamo ad oggi di 1.300 ispezioni svolte tra fornitori e subfornitori”.

In caso di ambiti potenzialmente critici, quali ad esempio quelli degli agrumi in Sicilia e Calabria o il pomodoro da trasformazione, i controlli coinvolgono ogni campagna produttiva.

Controlli e aziende escluse “Se le ispezioni che vengono svolte evidenziano delle non conformità – spiega Pedroni – Coop chiede un immediato piano di miglioramento. Ma in diversi casi i problemi emersi erano di entità tale che si è deciso di interrompere il rapporto. Negli ultimi anni abbiamo espulso dal nostro circuito commerciale diverse aziende agricole, ad esempio nel 2013 alcune realtà coinvolte nella filiera del pomodoro da trasformazione”.

Se ci sono segnalazioni specifiche, magari anche a seguito di casi di cronaca (vedi nel 2014 l’allarme per abusi su donne rumene nel Ragusano), Coop attiva ulteriori controlli.
“Il lavoro che abbiamo svolto – prosegue Pedroni – ha ricevuto importanti apprezzamenti e riconoscimenti esterni come ad esempio nell’indagine di Altroconsumo (2013) e nella ricerca di Consumers International (2010) in cui Coop è risultata avere le migliori politiche di responsabilità sociale di impresa a livello italiano in un caso ed europeo nell’altro. Ulteriore conferma dalla campagna #FilieraSporca. Gli invisibili dell’arancia e lo sfruttamento in agricoltura nell’anno di Expo (2015) in cui Coop è stata considerata  nella distribuzione “l’operatore più attento alla questione della responsabilità sociale”.

In questo quadro Coop è comunque impegnata a consolidare ulteriormente la propria attività di garanzia e controllo. Oltre al presidio storico sulle produzioni a proprio marchio, Coop ha rafforzato il proprio impegno coinvolgendo e responsabilizzando anche tutti i fornitori di ortofrutta venduta in Coop, area di potenziale maggiore criticità, chiedendo di aderire al proprio codice etico e avviando anche su questi ulteriori ispezioni in campo.

Miglioramenti ottenuti “Quel che comunque crediamo i consumatori e l’opinione pubblica debbano aver presente – conclude Pedroni – è che l’attività svolta da Coop negli anni ha sensibilizzato tutti gli attori della filiera e ciò ha portato ad interventi concreti, quali ad esempio il miglioramento delle condizioni ambientali di vita di molti lavoratori. Sappiamo bene che nonostante ciò esistono ancora problemi e da più parti riceviamo  segnali sulle situazioni di degrado che perdurano. Occorre affiancare all’attività di controllo, interventi strutturati di solidarietà, da sviluppare in collaborazione con le Ong e con gli operatori locali presenti e attivi sul territorio. Per questo stiamo individuando alcune filiere pilota su cui avviare progetti di supporto allo sviluppo nei relativi territori, con il fondamentale coinvolgimento dei soggetti locali. La partecipazione attiva di tutti gli attori della filiera è fondamentale se si vuole davvero voltare pagina”. 

febbraio 2016

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