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“La disuglianza, ostacolo alla ripresa dell’economia”

Pedroni.jpgPresidente Pedroni in che misura una distribuzione del reddito fortemente squilibrata, oltre a un problema di giustizia, è anche un ostacolo in più nel tentativo di uscire dalla crisi?
La domanda solleva un punto molto importante. Dietro una cattiva distribuzione del reddito e della ricchezza c’è un grande problema di equità e giustizia sociale, ma anche un nodo che rallenta e impedisce la ripresa economica. Se vengono colpite le fasce deboli e le classi medie, come è avvenuto in Italia, la domanda interna e i consumi si indeboliscono e questo mette un macigno sulla strada della crescita. È impensabile che un paese come il nostro possa affidarsi solo alle esportazioni e alla ripresa mondiale. Ed infatti, anche a fronte di dati di ripresa dell’economia mondiale, l’Italia non riparte perché la domanda interna è depressa, i consumi sono crollati di 10 punti e gli investimenti non vengono fatti perché non ci sono aspettative positive da parte delle imprese (e le banche stringono il credito invece di allargarlo). È un circolo vizioso da interrompere con un cambio importante di politica economica e fiscale.

Appunto… chi governa come e con che strumenti può intervenire?
Intanto va detto che solo troppo tardi si è compreso che la politica del rigore da sola uccide un paese; troppa influenza ha avuto ed ha ancora l’idea neoliberista che i conti a posto e il libero mercato risolvono prima o poi tutti gli altri problemi. La recessione e la disoccupazione si combattono con una moderna politica keynesiana che sostenga la domanda dei ceti medi e delle classi deboli, che incentivi gli investimenti e i re-investimenti degli utili delle imprese, con un ruolo attivo di investimento pubblico in opere infrastrutturali necessarie alla modernizzazione del paese e alla sua competitività. Giustamente si potrà chiedere con quali risorse fare ciò, visto che il paese ha un alto livello di debito pubblico. Credo che una risposta possa essere cercata, oltre che in un allentamento dei vincoli di stabilità europei, in politiche redistributive del reddito, in sacrifici da chiedere alla parte più forte del paese, anche con la patrimoniale sui beni mobili, con un’incisiva lotta all’evasione e alla illegalità, con una valorizzazione intelligente del patrimonio pubblico. Certo ci vorrebbe un governo forte e convinto, credibile nel chiedere cose difficili e fare cose impegnative. Ma non ci sono scorciatoie o profetici salvatori. 

Alla luce di questi problemi, su cosa si concentrerà l’attività di una forza come quella di Coop, che unisce milioni di consumatori? 
Ritengo che le imprese e i soggetti economici importanti, e noi siamo tra questi, dovrebbero agire avendo in mente il bene delle imprese ed il bene del paese. In questo momento le due cose possono e debbono coincidere.

Faccio un esempio: Coop vuole praticare una politica di forte vicinanza ai consumatori su tutti i beni essenziali; questo significa creare condizioni di accesso per tutti a prodotti sicuri e di qualità (e tutti significa a prezzi giusti e bassi); lo facciamo con lo sviluppo del nostro prodotto a marchio Coop, ma vogliamo agire su tutto l’assortimento; per questo abbiamo chiesto anche all’industria di marca, che in questi anni in molti casi ha perso vendite e quote, di contribuire all’obiettivo. In sostanza vogliamo sostenere la domanda interna e i consumi, anche sacrificando una parte degli utili;  nel medio periodo sono convinto che come imprese, sia di distribuzione che di produzione, avremo dei benefici da questa impostazione. Ma soprattutto i benefici andrebbero alle famiglie e daremmo un contributo alla ripresa economica.
Vorrei citare anche altri due campi su cui vogliamo rilanciare il ruolo di Coop nella difesa dei consumatori: riprendere la battaglia sulle liberalizzazioni di settori in cui gli italiani pagano troppo  (farmaci, energia, casa, servizi finanziari) e un cambiamento dei sistemi promozionali, oggi una giungla sempre più confusa, a favore della trasparenza e di prezzi bassi stabili.

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