Alessandra Belardini dirige il Commissariato di P.S. online della Polizia postale, specializzato nella repressione dei reati informatici.
Dottoressa, i casi aumentano. C’entra forse anche la crisi economica creando false aspettative sul web?
Non credo, direi piuttosto che aumentano i fruitori della rete per cui si verifica un aumento naturale delle fattispecie criminose. Oggi è facile connettersi alla rete, molta gente lo fa in mobilità usando lo smartphone o il tablet, dispositivi che sotto il profilo del rischio equivalgono al 100% a un computer. È un attimo prendersi un trojan sul cellulare scaricando una app gratuita anche se spesso non ci si accorge di avercelo. Ed è un attimo che qualcuno sottragga i nostri dati sensibili se non adottiamo determinati accorgimenti.
Ad esempio quali?
A prescindere dal dispositivo, noi consigliamo di proteggere i dati personali in una cartella criptata con la password, se proprio non li si vuole conservare a parte. Per rendere la vita più difficile agli hacker, meglio dotarsi di antivirus e filtri avanzati come i firewall e aggiornarli spesso. Quasi superfluo dire che la password dev’essere composta di almeno 9 caratteri alfanumerici contenenti uno o più caratteri speciali come il simbolo del dollaro o del cancelletto, e mai usare nomi di familiari né date di nascita o parole banali. È meglio poi cambiare la password al massimo ogni mese. La prevenzione, come vede, non è difficile ma è molto importante.
Anche sui social network è pericoloso navigare?
Facebook, Twitter e altre piattaforme social sono semplicemente dei “teatri” diversi dove si consumano i cybercrime. Prendiamo ad esempio le estorsioni nigeriane. La più classica è la richiesta di amicizia da parte di un’avvenente ragazza che una volta collezionati molti contatti, intrattiene con la “vittima” un colloquio sempre più hard, gli chiede foto spinte, infine lo ricatta se non vuole che vengano diffuse in rete. Anche i falsi profili Facebook si moltiplicano, tuttavia in Italia i furti di identità digitale non sono perseguibili se non come aggravante nelle frodi in commercio. Per altri reati, come la diffamazione online, occorre invece leggere bene le policy. Quella di Facebook è molto permissiva: negli States dove il social ha la sede legale i reati di opinione non sono percepiti come qui in Italia e a meno che la diffamazione non sia molto grossa, noi non riusciamo ad intervenire.
novembre 2014