Il vocabolario della crisi economica e finanziaria
Abbiamo scelto alcune tra le parole chiave usate per raccontare le vicende della crisi economica e finanziaria, diventate ormai comuni nei notiziari e sui giornali. Si tratta di termini tecnici, a volte davvero complicati, di cui molti lettori ci hanno scritto di non comprendere il significato. Ecco un mini vocabolario che speriamo sia di qualche aiuto:
Agenzie di rating
Le agenzie di rating (le tre principali, tutte Usa, sono Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch Ratings). sono soggetti privati che esprimono un voto in lettere in base al quale viene stabilita l’affidabilità e dunque il livello di rischio di prodotti finanziari, titoli, ma anche di enti pubblici e Stati sovrani. Tendenzialmente, scendere nel rating (il termine tecnico è downgrading), produce l’effetto, per quel paese, di dover pagare tassi di interesse più alti agli investitori affinché acquistino ancora i titoli del debito pubblico.
Durante l’estate Standard & Poor’s ha degradato sia gli Usa (passati dalla tripla AAA che è il voto massimo, ad AA+) che l’Italia (scesa da A+ ad A). L’Italia è poi stata retrocessa anche da parte di Moody’s, da Aa2 ad A2 e da Fitch, da AA ad A+. In questi anni, le agenzie di rating sono state oggetto di dure critiche per i conflitti di interesse ed i legami con le grandi banche d’investimento e il mondo della finanza. Ricordiamo che al momento del fallimento della banca Lehman Brothers, nel 2008, lo stesso istituto aveva da tutte le agenzie un rating di massima affidabilità.
Credit crunch
È un altro dei rischi evocati (e da molti atteso come inevitabile) in questa fase. Il credit crunch è una stretta creditizia, cioè una situazione in cui le banche riducono drasticamente la disponibilità a effettuare prestiti o comunque rendendo più rigidi e rigorosi i criteri di concessione del prestito. Dunque il rischio di un credit crunch spaventa tutti quanti (imprese o privati cittadini) hanno la necessità di richiedere un finanziamento presso un istituto di credito. È un po’ la situazione che si sta verificando in queste settimane, nelle quali i mercati dell’Eurozona sono in grande difficoltà: gli istituti di credito hanno reagito irrigidendo i criteri di accesso al credito e dunque diminuendo la liquidità nella zona Euro. Ciò dipende dalla crescente sfiducia tra le banche stesse, poco propense a prestarsi denaro l’un l’altra e dall’aumento complessivo degli spread. Sulle banche italiane pesa il fatto di detenere buona parte (circa 700 miliardi) dei titoli del debito pubblico italiano, ma anche alcune banche francesi subiscono il fatto di detenere una larga fetta del debito greco. Da segnalare il caso della banca franco-belga Dexia, salvata con soldi pubblici a metà ottobre, che per quattro anni (dopo il 2008) ha nascosto di avere ancora mutui sub prime e altri titoli "spazzatura" in portafoglio, per oltre 90 miliardi di euro. E così, in questo balletto di diffidenze reciproche tra banche, a pagare il conto rischiano di essere anche le imprese piccole e grandi.
Credit default Swap
I Credit default swap (CDS) sono speciali polizze che permettono agli investitori, pagando un premio, di assicurarsi contro determinati rischi, come ad esempio il crack di una impresa o anche di uno Stato. I Cds sono strumenti comprati e venduti al di fuori di ogni controllo delle autorità. L’andamento delle quotazioni dei Cds può però influenzare pesantemente i mercati. Secondo stime dell’agenzia americana Dtcc, esistono poco meno di 10 mila contratti Cds legati al debito italiano per un valore di circa 229 miliari di euro. Secondo il Sole 24 Ore, a metà ottobre, il rischio di insolvenza dell’Italia, espresso dal premio che si paga sui Cds, viaggiava intorno ai 500 punti. La traduzione matematica di questo premio indica cioè una possibilità di default dell’Italia tra il 30% e il 35%. Dunque alla pari di paesi come Argentina, Equador e Libano, che hanno un rating delle agenzie ben peggiore di quello italiano.
Ad acquistare Cds possono essere non solo operatori (per stare al caso italiano) realmente titolari di titoli emessi dal nostro Governo, ma anche soggetti interessati solo a compiere una operazione speculativa e a ricavare un guadagno pur non possedendo beni o titoli legati all’oggetto della loro assicurazione.
Hedge found
Gli hedge found sono fondi speculativi nati negli Stati Uniti negli anni ‘50, che hanno avuto uno sviluppo fortissimo negli anni recenti. La legge Usa prescrive che gli investitori, per entrare in un hdege found, abbiano un patrimonio di almeno un milione di dollari. I fondi speculativi hanno l’obiettivo di produrre utili attraverso investimenti singolarmente ad alto rischio, ma con possibilità di ritorni molto fruttuosi. Questi soggetti economici spesso utilizzano valori della leva finanziaria assai elevati, anche superiori a mille ossia, l’indebitamento finanziario netto di un hedge found è spesso mille volte superiore al suo patrimonio netto.
Per dare un’idea della logica speculativa con cui operano gli hedge found, è da ricordare che secondo il New York Times, questi fondi avrebbero fatto incetta di svalutatissimi titoli greci (pare per 40 miliardi di euro). Questi titoli, svalutati dal timore di un default, sarebbero stati comprati a prezzi intorno ai 36 centesimi per ogni euro di valore nominale. La scommessa degli Hedge è che, come i mercati sembrano ritenere probabile, se si arrivasse a un default programmato (cioè a una ristrutturazione del debito greco) questi titoli potrebbero essere rivenduti a 70 centesimi di euro, cioè al doppio di quanto sono stati pagati. Una conferma che anche nei momenti più drammatici ci può essere qualcuno che prova a guadagnare sulla pelle delle famiglie greche.
Leva finanziaria
La leva finanziaria nel settore bancario è in genere definita come il rapporto tra capitale netto dell’istituto e il totale delle attività. Una leva pari a uno esprime quindi una situazione di coincidenza tra ammontare investito e capitale proprio, ovvero ho a disposizione 100 e 100 investo. Nel sistema finanziario degli ultimi anni l’effetto leva è cresciuto a dismisura, nel senso che, spesso si effettuano investimenti molte volte superiori al capitale proprio (ho a disposizione 100 ma investo 10.000). Per far questo si chiedono soldi in prestito (ad altri) mettendo di fatto sotto stress la propria capacità di restituire il debito. Ovviamente la qualità degli investimenti effettuati è decisiva e in fase di profonda crisi dei mercati, con cali consistenti sia dei valori azionari ma anche dell’affidabilità di determinati titoli pubblici, il rischio di una situazione in cui tutti vogliono rientrare dagli investimenti (o chiedono indietro i soldi prestati) è drammatica.
Finanza "ombra" over the counter
Con la complicità di una politica sempre più remissiva i mercati finanziari sono cresciuti in modo abnorme. Trenta anni fa le attività finanziarie avevano un valore all’incirca equivalente al PIL del pianeta. Nel 2007 erano quadruplicate: cioè per ogni euro prodotto dal lavoro e dal commercio erano in circolazione quattro euro di debiti, crediti e scommesse finanziarie. Ma ancora più grave è la situazione se si considera il sistema finanziario "ombra", quello dei prodotti (come i Cds) trattati, come si dice Over the counter (letteralmente sul banco) e quindi al di fuori dei controlli e delle regolamentazioni dei mercati ufficiali. Nel 2007 l’ammontare di questi derivati trattati "over the counter" era stimato per un valore pari a 12,6 volte il PIL del mondo.
Spread
Parola diventata riferimento costante degli ultimi mesi. Letteralmente lo spread è lo scarto, ovvero il differenziale tra il tasso di rendimento di un’obbligazione caratterizzata da un rischio maggiore e quello di un titolo privo di rischio (ad es. un titolo di stato a breve termine, quale in Italia il Btp). Ad esempio se un BTP italiano con una certa scadenza ha un rendimento del 7% ed il corrispettivo Bund Tedesco con la stessa scadenza ha un rendimento del 3% allora lo spread sarà di 7-3=4 punti percentuali ovvero 400 punti base. È allo stesso tempo una misura del rischio finanziario associato all’investimento nei titoli di Stato essendo rischio e rendimento strettamente legati da relazione di proporzionalità. Sino a prima dell’estate lo spread tra titoli italiani e tedeschi viaggiava al di sotto dei 200 punti base. Con l’esplosione della crisi, da agosto in poi, lo spread ha viaggiato quasi sempre oltre i 300 punti base, superando in diversi casi i 400. Avendo l’Italia emesso titoli di debito pubblico pari a circa 1.500 miliardi, dover pagare un tasso di interesse superiore anche di un solo punto, significa una maggior spesa per lo Stato di circa 15 miliardi di euro in un anno.
Dario Guidi