Attualità

Giovani cercansi, senza di loro non c’è futuro

E’ l’ora del telegiornale. Quale sarà l’apertura di oggi? Proviamo a immaginare che ci appaiano, come ogni sera, non il coronavirus o i migranti, ma la famiglia come prima notizia. La famiglia italiana che invecchia e continua a perdere colpi. «Nel 2021 nuovi minimi per le nascite: scenderemo sotto le 400mila unità», scrive Carlo Blangiardo, presidente dell’Istat. È il dato più basso da oltre un secolo, peggiore degli anni della guerra. La famiglia è in crisi e senza più i giovani che sarebbero, poi, quelli che dovrebbero far ripartire il paese dopo l’emergenza sanitaria, prendersi i posti di lavoro che alcuni dicono “occupati” dagli extracomunitari, trasferire idee fresche e nuove alla società.

Il punto è che i giovani italiani – cioè la base di ogni serio e concreto ragionamento sul futuro nostro e di questo nostro paese – stanno sparendo. Se ne parla, se va bene, in coda ai servizi del Tg o nei convegni tra demografi ed economisti, ma intanto si assottiglia la schiera degli under 44 (crollo delle nascite e fughe all’estero più numerose dei rientri), facendo aumentare gli squilibri demografici e le diseguaglianze intergenerazionali, ossia la ricchezza (e gli oneri) in capo ai giovani e ai loro genitori e nonni. La questione è rilevante per l”economia su cui già pesa un Pil in caduta libera (- 12,8% nel trimestre del lockdown) e per l’intera fase che si apre che sarà probabilmente di “depressione”, più che di “recessione”, per dirla con il giornalista finanziario Francesco Guerrera.

Il dato statistico che più colpisce è che, oggi, sono oltre un milione in meno coloro che hanno fra i 30 e i 34 anni e raggiungeranno nel corso del decennio la fascia d’età 40-44, che è considerata la più produttiva. «È la più consistene riduzione in Europa di quello che può essere considerato l’asse portante dell’economia di un paese», osserva Alessandro Rosina, docente universitario, saggista e demografo. Rosina denuncia la «sottovalutazione della questione demografica nei piani di ripartenza del paese», e ricorda che il tasso di occupazione dei quarantenni è già quasi di dieci punti sotto la media europea (74%), ma quel che è più grave è che i trentenni di oggi partono già da una soglia di cinque punti più bassa (68%). Sono pochi, dunque, e pure sottoccupati.

Una pianta che non germoglia più Se i trentenni e i quarantenni appaiono l’anello debole della ripartenza, l’apertura del “nostro” telegiornale potrebbe essere che purtroppo la società italiana non solo invecchia, ma continua a non germogliare più. Nel 2019 –informa l’Istat – abbiano toccato il livello più basso di ricambio naturale a partire dal 1918, dunque da oltre un secolo. La differenza tra nati e morti è stata di 212mila unità: per ogni 100 persone che muoiono, oggi ne nascono 67, mentre dieci anni fa ne nascevano 96. In questo modo la popolazione residente si è ridotta di 116mila unità in un anno. Siamo 60 milioni e 317mila, un calo di popolazione dovuto, come detto, soprattutto al crollo delle nascite: 435mila contro 647mila decessi, il che ha fatto alzare l’età media a 45,7 anni. È il quinto anno consecutivo che la popolazione residente diminuisce, nonostante un saldo migratorio con l’estero ancora positivo (8,9% gli stranieri sul totale degli abitanti). E diminuisce soprattutto al Centro e al Meridione dove ci sono alcune aree in totale abbandono e si registra una emorragia di giovani (nonostante se ne contino mediamente di più) che migrano dove c’è più lavoro, cioè nelle regioni del Nord nelle quali l’equilibrio è garantito anche da una maggiore fecondità (1,36 figli per donna, con un primato di 1,69 a Bolzano).

I dati, tuttavia, dicono anche che il numero dei figli per donna (1,29) rimane costante, tra i più bassi d’Europa, anche se il desiderio sarebbe di averne di più, mediamente 2,cioè in linea con gli altri paesi. A diminuire (di 180mila) sono però le donne in età fertile. Per varie ragioni, si decide di fare figli sempre molto tardi, con un’età media che per il primo parto è cresciuta a 32,1 anni, e più madri ultraquarantenni. Insomma, si vorrebbero ma non si fanno, vuoi perché mancano le condizioni, vuoi per altre ragioni spiegate nell’intervista e nei box in queste pagine.

Mamma mia la pandemia! Sui numeri negativi del 2019 si è abbattuto poi lo tsunami del coronavirus che ha inasprito tutti i fattori. L’ultima relazione di Bankitalia li sintetizza: una più fragile posizione lavorativa delle nuove generazioni, complicazioni nella gestione dei tempi di vita e di lavoro, una peggiore condizione economica delle giovani famiglie. A ciò si aggiunge la chiusura degli orizzonti di speranza: oltre 3 “neet” su 4 (i “neet” sono i ragazzi che non studiano e non hanno un impiego) hanno smesso di cercare lavoro durante il lockdown, con il rischio di scoraggiarsi definitivamente. A sottolinearlo è il settimo Rapporto giovani, curato dall’Istituto Toniolo, che è la principale indagine italiana sulle nuove generazioni.

L’equilibrio demografico della società non c’è anche perché i giovani, come detto, che sono la base trasversale di ogni ragionamento, il motore di una nazione, non fanno da traino né da contrappeso nello scenario post-Covid. L’effetto del virus sarà piuttosto di anticipare di quasi un decennio il ritmo della denatalità”, si legge mel Rapporto Coop 2020, che calcola che 280mila italiani hanno rinunciato “a mettere al mondo un figlo a causa dell’emergenza sanitaria”. La prospettiva più lontana è addirittura di una riduzione di 8 milioni di italiani in età lavorativa nel 2050 rispetto al 2015, il che gioverebbe all’ecosistema, non certo al sistema pensionistico appesantito dal Covid che ha accelerato uno storico sorpasso: erano 22,77 milioni gli occupati in maggio a fronte di 22,78 milioni di pensioni erogate in gennaio. Dunque più assegni pensionistici (non ancora più pensionati) che produttori di reddito. Lo stesso Covid, secondo le previsioni, causerà 60mila morti in più, non 600mila come con la spagnola. La domanda chiave, allora, suggerita da Mario Draghi al meeting di Rimini, è: chi si prenderà sulle spalle l’Italia deprivata di giovani? Chi pagherà i debiti contratti e le pensioni?

Bonus, pacchetti e proposte  Sul piano delle politiche attive, c’è da segnalare il Family act, un insieme di misure che dal 2021 alzerà l’asticella dell’impegno su questo fronte (vedi box). Già mesi fa era arrivata dal Forum per le Disuguaglianze e Diversità un’altra proposta, quella di dare 15mila euro a ogni diciottenne e di tassare le eredità per colmare il divario tra le generazioni. Grazie al Recovery fund dell’Europa abbiamo ora un’occasione straordinaria per impostare riforme di medio-lungo periodo. Con i 209 miliardi di euro assegnati all’Italia (di cui 82 di sovvenzioni e 127 di prestiti) si può fare molto per impedire la fuga dei giovani all’estero (+8%) e attuare riforme strutturali. Tante voci sostengono questa linea, tra cui quella dell’associazione “M&M – Idee per un paese migliore”, che individua i più giovani come il filo conduttore del piano europeo che, non a caso, è chiamato Next Generation Eu. Tra le proposte, l’ampliamento del tempo di permanenza scolastica e la riduzione (per sempre) del 15% del cuneo fiscale per chi entra nel mondo del lavoro. Una proposta dirompente per ridurre le diseguaglianze, a scapito dei profitti, è quella del sociologo Domenico De Masi, che avanza l”idea di commisurare i contributi che oggi alimentano l’Inps, «anziché sul lavoro che diminuisce, sul prodotto che invece incrementa». L‘immigrazione stessa è indicata da “M&M” come uno dei canali di entrata di lavoratori giovani, necessari all’economia italiana, nell’ordine di circa 200mila all’anno. Del resto sembrano finiti i tempi delle crisi economiche che passano come un normale raffreddore. L’Italia post-Covid raffrontata con quella post-bellica che portò al boom economico è profondamente diversa. Nel 1951 gli under 45 erano infatti di gran lunga preponderanti sulla popolazione (pari al 72%), oggi sono una parte minoritaria (47% circa) destinata a scendere, secondo l’Istat, a fine decennio, al 43,7%: cioè ben 2,3 milioni di giovani in meno!

La percentuale di under 34 europei che suppongono che il Covid-19 avrà un impatto negativo sui loro progetti riproduttivi (fonte: Istituto Toniolo)

Tag: bambini, anziani, calo demografico

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