Secondo un’indagine del Congresso Usa giganti multinazionali come Google, eBay, Amazon, ma anche McDonalds e Starbucks fanno viaggiare all’estero in regimi fiscali vantaggiosi 1.000 miliardi di dollari. Si chiama elusione fiscale e non è neanche un reato.
Ad Alessandro Santoro, professore associato di scienza delle finanze all’Università di Milano Bicocca abbiamo chiesto solitamente che tipo di soggetti riescono ad accedere ai “vantaggi” dell’elusione fiscale?
Si tratta di due categorie di soggetti: individui titolari di patrimoni importanti, che desiderano spostare all’estero per poi movimentarli riducendo il carico fiscale e imprese, specie multinazionali, di dimensioni medio-grandi, che possono sfruttare la propria presenza in più Stati per, in pratica, far arrivare i redditi alle filiali tassate con aliquote più basse e deviare i costi verso le filiali con aliquote più elevate.
L’elusione è un fenomeno che necessita di triangolazioni utilizzando le normative di Stati diversi o esiste anche una elusione restando dentro alla normativa di un solo Stato?
È possibile l’elusione domestica, ad esempio attraverso qualificazioni fittizie di operazioni finanziarie, ma le possibilità maggiori sono certamente legate a trasferimenti verso e dall’estero.
La capacità di indagine su questi fenomeni è migliorata o mancano strumenti adeguati?
Lo sforzo fatto dall’Ocse e l’inversione dell’onere della prova adottata in Italia hanno certamente aumentato gli strumenti a disposizione dell’amministrazione finanziaria italiana. In Italia, poi, negli ultimi anni è stata molto utilizzata la categoria dell’ “abuso del diritto” che, però, ha dato luogo a molti conflitti interpretativi e dispute con i contribuenti. La (prossima?) attuazione della legge di delega fiscale dovrebbe chiarire meglio questa fattispecie.
Ci sono casi noti di condanne o sanzioni verso grandi società per casi di elusione fiscale?
Per quel che riguarda l’Italia, basta guardare alla cronaca recente, che è esemplificativa anche di come sia difficile verificare la differenza fra illecita elusione fiscale e lecita pianificazione fiscale.
Ci può citare il modello tipico attraverso cui avviene questo fenomeno?
La società X, residente in un paese dove l’aliquota sui profitti societari è elevata, è titolare dei diritti di sfruttamento del marchio di moda Z. Costituisce, quindi, una nuova società Y fiscalmente residente in un paese dove l’aliquota sui profitti societari è più bassa, a cui trasferisce tali diritti per un valore inferiore a quello di mercato. Per utilizzare il marchio, quindi, la società X dovrà pagare i diritti alla società Y. In questo modo, la società X avrà alti costi da dedurre e la società Y pagherà sui ricavi per lo sfruttamento del marchio. Nel suo insieme il gruppo avrà quindi una tassazione ridotta rispetto a prima.
Cos’è la concorrenza fiscale tra Stati? In che misura si tratta di un fenomeno normale e in che misura rischia di favorire fenomeni di elusione?
La concorrenza fiscale tra Stati è la tendenza alla riduzione delle aliquote effettive sui redditi da capitale conseguiti da non residenti motivata dall’esigenza di attrarre investimenti da parte di questi soggetti. Certamente essa porta alla creazione di regimi fiscali favorevoli che creano opportunità di elusione e di evasione.
Dall’Olanda all’Irlanda, dalla Svizzera a Hong Kong, dalle Barbados alle isole Vergini: nelle vicende legate a tentativi di eludere il fisco, spuntano nomi non solo di sperduti paradisi fiscali ma anche Stati teoricamente al di sopra di ogni sospetto. Qual è la situazione?
Di fatto, dopo l’11 settembre, e a seguito dello sforzo fatto dal governo degli Stati Uniti per “tracciare” i flussi di denaro che alimentano il terrorismo internazionale, si è scoperto che questi flussi transitavano dagli stessi luoghi e per le stesse banche che alimentano l’evasione e l’elusione. Ne è seguita un’azione di pressione nei confronti di alcune grandi banche (si pensi a quelle svizzere) perché mettessero a disposizione delle autorità i dati riguardanti i flussi di capitale di non residenti. Su questa scia si sono innestati il FATCA negli Stati Uniti e i recenti accordi per il superamento del segreto bancario.
I casi recenti di Apple e Google che hanno sede fiscale in Irlanda, cioè uno Stato che fa parte dell’Unione Europea, non renderebbero necessario e urgente per l’Europa definire regole fiscali comuni?
In un’Unione europea in cui i movimenti di capitale sono liberi certamente avrebbe senso avere aliquote uniformi sui redditi da capitale. Di questo si discute da 40 anni, ma i risultati ad oggi sono scarsi. C’è una direttiva sulla tassazione del risparmio dei non residenti, che peraltro è molto deficitaria, e una discussione senza fine sull’adozione di una base imponibile consolidata per le multinazionali europee. Di fatto, gli Stati che utilizzano le aliquote ridotte non vogliono accettare alcun tipo di limitazione alla concorrenza fiscale, a danno degli Stati più grandi.