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“È ora di un ricambio poi puntiamo sulla bellezza”

massimo_gramellini.jpgSe le parole chiave per descrivere l’Italia di oggi sono “paura e rassegnazione”, non manca “la speranza e la convinzione che il nostro paese possa diventare la California d’Europa, un giardino dove venire a godere di quella bellezza, di quella cultura che sono la nostra grande ricchezza, una ricchezza che ci viene riconosciuta immediatamente all’estero, anche oggi, in quello che è un periodo così complicato e difficile. Ma per far questo dobbiamo avere la forza e il coraggio di rinnovarci, di andare ad un ricambio completo della classe dirigente. Cambiare può essere un rischio, ma, quale che sia l’idea politica che ognuno ha sulle nostre vicende, un dato credo sia certo e cioè che questa classe dirigente ha fatto il suo tempo”.
Parole di Massimo Gramellini, giornalista (è vicedirettore de La Stampa), scrittore di successo (il suo libro “Fai bei sogni” ha venduto più di 1 milione di copie) e uomo di tv (con Fabio Fazio a “Che tempo che fa”), ma soprattutto attento osservatore di un paese, non solo attraverso ciò che succede nelle stanze del potere, ma spesso partendo dalle piccole storie quotidiane con protagonisti sconosciuti al grande pubblico.

In questo 2013, anno sesto della crisi più drammatica dal dopoguerra ad oggi, che fotografia si può fare della società italiana?
“Partirei dalla paura per le difficoltà drammatiche di una crisi che sembra non finire mai e dalla rassegnazione perché ormai non ci si indigna più neppure di fronte agli scandali più clamorosi. È come se fossimo anestetizzati, anche perché il futuro non è più una risorsa ma una minaccia. A chi dice che negli anni ’50 si stava peggio, va ricordato che chi  viveva in quegli anni era sostenuto dalla speranza di un domani migliore, dall’idea che il giorno dopo avrebbe avuto qualcosa in più da mangiare. Oggi succede il contrario. E sinceramente non so cosa potrà accadere quando le famiglie, cui oggi un terzo degli italiani ricorre per farsi aiutare, avranno finito i risparmi. E non so davvero che futuro abbiamo preparato per i giovani”.

Invece il bilancio civico della nostra comunità di italiani qual è?
“Sul piano del civismo, del senso di appartenenza e della condivisione, mi viene in mente il libro che ho scritto qualche hanno fa con Carlo Fruttero che si intitolava “La patria bene o male”, ripercorrendo i 150 anni di storia dell’Italia unita. E direi proprio che non ci sono novità perché siamo davanti alle solite notizie, nel senso che anche andando indietro negli anni, con Fruttero ci siamo imbattuti sempre in storie di scandali, tangenti e ruberie. Il problema drammatico è che non abbiamo senso dello Stato. Se qui dici che una cosa è di tutti è come dire che non è di nessuno. Ci manca quel qualcosa che ai francesi o agli inglesi viene inculcato col latte materno. Se butti una cartaccia a terra in un parco di Londra qualcuno ti viene subito a riprendere. Purtroppo da noi non è così e per cambiare occorreranno diverse generazioni. Spero che i giovani, più abituati a girare l’Europa, ad avere contatti con altri paesi comincino ad avere una sensibilità diversa”.

Il tipo di dibattito pubblico e le modalità del sistema della comunicazione non rischiano di far perdere senso alle parole?
“È vero, oggi la velocità della comunicazione, l’uso di Facebook o Twitter,  rischiano di annebbiare l’uso delle parole. Non sono assolutamente un passatista, ma occorre fare attenzione. Faccio l’esempio del dilagante uso del termine golpe. Ma quando ci sarà davvero un golpe come lo chiameremo se qualsiasi cosa che non ci va bene è un golpe. Golpe vuol dire una cosa precisa, vuol dire che qualcuno arriva con le armi e prende il potere. Se invece un magistrato fa una sentenza che non condividi, non è un golpe è una sentenza che non ti piace e basta”.

Spesso si dice che abbiamo la classe dirigente (politica e non) che ci meritiamo: condivide o le cose sono un po’ più complicate?
“È molto facile prendersi l’applauso dicendo che i politici sono cattivi e noi siamo buoni. Il problema è che negli ultimi 20 anni molte persone della società civile sono entrate in politica e non mi pare si siano comportate meglio dei politici di professione. Se dopo sei mesi che sei  lì ti comporti come gli altri, allora c’è qualcosa che non va. Il punto è che l’esercizio del potere corrompe e l’unica soluzione realistica e non demagogica è quella di limitare il tempo in cui uno svolge determinate funzioni. Anche se mettiamo al potere un santo, dopo dieci anni è un po’ meno santo. Dunque, come succede in altri paesi, si sta lì al servizio della comunità al massimo per 10 anni”.

Ma c’è una chiave in positivo per guardare a un futuro possibile?
“La mia speranza, e qualche segnale nel 2013 c’è stato, è che riusciamo a rilucidare l’unica cosa che abbiamo e cioè il marchio Italia. Perché il nostro paese gode ancora di un grande pregiudizio positivo, non so quanto meritato ma che c’è, perché viene immediatamente associato all’idea di bellezza, di sole, di cultura e divertimento. Noi dovremmo concentrare tutte le nostre energie economiche, che oggi sono poche e per questo entra in campo la politica, su questa operazione di promozione e rilancio. Non siamo il Real Madrid che può spendere senza limiti, noi dobbiamo scegliere dove destinare le poche risorse. E dato che politica vuol dire scegliere, dobbiamo puntare su cultura, turismo, agricoltura e artigianato di qualità, sulle eccellenze dell’innovazione. Dobbiamo puntare sulle cose che solo noi possiamo avere e non su quelle dove ci può essere sempre una azienda cinese che le fa meglio e a un costo minore. Se puntiamo davvero su questo, allora l’Italia può diventare, nel giro di 5-10 anni, un grande giardino dove da tutto il mondo si viene a divertirsi e ad assaporare il piacere del bello e della cultura. Ma questo si può fare solo se ci sarà un ricambio completo della classe dirigente. Hanno fatto il loro tempo e servono idee e persone nuove”.

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