l maschilismo è ancora tra noi e la violenza sulle donne è la sua manifestazione più estrema. Ne è convinta Chiara Volpato, studiosa che ha insegnato Psicologia sociale all’Università di Milano-Bicocca e quest’anno ha dato alle stampe un’edizione aggiornata del suo saggio “Psicosociologia del maschilismo“, edito da Laterza. Un libro in cui analizza i meccanismi che regolano il potere maschile e la subordinazione femminile nel mondo del lavoro, della politica e dei media in occidente e in Italia.
Professoressa Volpato, che cos’è esattamente il maschilismo? Il maschilismo è l’atteggiamento di dominio o di superiorità da parte dell’uomo sulla donna. Può essere consapevole o inconsapevole e nasce dalla divisione tradizionale dei ruoli nelle nostre società: l’uomo lavora e procaccia le risorse per la famiglia, controlla la sfera pubblica; la donna si occupa della casa, dei figli, degli anziani, della sfera privata. Questa impostazione dà all’uomo una superiorità che poi esercita anche nella relazione. In Italia è sicuramente diffuso, ma non è un problema solo nostro: vediamo che tra i generi ci sono rapporti difficili e conflittuali, basati sul predominio, anche in Nord Europa, dove si registra un tasso di violenza consistente anche se le forme di maschilismo visibili nella vita pubblica sono inferiori. La differenza, in quei paesi, è che la consapevolezza è maggiore e le reti di supporto alle donne sono molto più forti e diffuse.
Come si manifesta e si riconosce un maschilista? Il maschilista è colui che decide e impone la propria volontà nei rapporti interpersonali con le donne con cui intrattiene una relazione. Pretende che la donna stia al suo posto e che non intervenga in ambito pubblico. Naturalmente le cose stanno cambiando, i ruoli non sono più gli stessi. Ma una parte di difficoltà nel rapporto tra uomini e donne dipende proprio da questo: affrontare il cambiamento è difficile, non è facile adattarsi. Alcuni studi ci dicono che anche molte molestie sembrano avere una funzione del genere: molestare le donne per strada, nei luoghi pubblici, nei treni, è un modo per ribadire che lo spazio pubblico è maschile e la donna deve accettare questo codice.
Da cosa dipende, il perdurare di questo fenomeno? L’educazione è ancora un fattore molto potente e resta abbastanza stereotipata. Bambini e bambine vengono educati in modo diverso fin dalla nascita, e se alle bimbe oggi si chiede di farsi valere di più, dai maschietti si accettano comportamenti più aggressivi perché visti come una naturale manifestazione di energia. C’è poi un interesse maschile a mantenere lo status quo: se le donne si fanno avanti nella vita pubblica, devono dividere con loro i posti nei Cda, al governo, nei centri di potere…
Quale può essere una via di uscita? Negli anni abbiamo assistito a movimenti grazie ai quali le donne hanno conquistato spazio, ma anche a grandi passi all’indietro, in Italia e non solo. Ad esempio, figure come Trump e Bolsonaro sono molto maschiliste come impostazione e modo di porsi, o pensiamo a quel che accade in Afghanistan e in Iran… In occidente, dove l’indipendenza e l’autonomia delle donne sono molto cresciute, la violenza è in parte un residuo del passato ma anche qualcosa di nuovo: gli americani lo chiamano “backlash”, una sorta di stato d’animo di vendetta per ciò che le donne stanno acquisendo. È una forma di ritorsione perché la donna sfugge al controllo. E, purtroppo, queste forme di violenza sono in aumento nei paesi occidentali.