Speranza è parola che tocca nel profondo le nostre vite. Non si può vivere senza sperare, perché ogni vita è iscritta nel “registro” del possibile. Speriamo per le cose grandi e le cose piccole, speriamo semplicemente che il domani sia migliore dell’oggi.
Ma c’è una speranza collettiva che, invece di attendere le nostre vite, comincia da esse. È la speranza dell’impegno, del costruire le condizioni affinché chiunque possa guardare con serenità al futuro, nella certezza di non essere lasciato solo. È di questa speranza collettiva che oggi abbiamo più che mai bisogno, perché mai come oggi questa speranza è stata rapinata.
Quanti ladri di speranza! Già perché non è una fatalità che oggi nel nostro Paese ci siano 9 milioni di persone in condizione di povertà relativa e 5 di povertà assoluta. Non è un caso che un’intera generazione di giovani abbia la porta del futuro sbarrata davanti a sé e che 6 milioni di persone siano così povere di strumenti culturali da rasentare l’analfabetismo. Non cade dal cielo il dilagare della corruzione – a vent’anni dalle premature, incaute speranze di Tangentopoli – né un rovescio della sorte la presenza (chiamiamola così, per favore, non più infiltrazione!) delle mafie nei territori, con i loro torbidi avamposti nella politica, nell’economia, nelle professioni.
Tutto questo è frutto di un furto di speranze avvenuto in questi decenni sotto i nostri occhi, occhi per la verità a volte distratti o incantati dal corrispondente spaccio di illusioni che lo occultava.
Ecco allora che quella speranza collettiva chiamata giustizia sociale – dignità e lavoro per tutti – deve cominciare da un risveglio delle coscienze e da una conseguente assunzione di responsabilità. Non possiamo continuare a puntare il dito, lamentarci di come vanno le cose, senza metterci in gioco per cambiarle. Non da soli, perché il cambiamento sociale non è cosa da navigatori solitari, ma insieme, corresponsabilmente, nell’aspirazione a quel bene che, proprio perché è comune, trascende le singole vite ma al tempo stesso le tutela e le nutre. Si è liberi con gli altri e per gli altri, e il primo compito che ci affida la vita è proprio quello d’impegnare la nostra libertà per liberare chi non è ancora libero, chi è senza speranza, disperato.
Noi abbiamo già un testo, anzi un “vademecum”, una guida orientativa, che ci spiega cosa dobbiamo fare per coltivare la speranza, per disseminarla affinché tutti ne possano godere. Si chiama Costituzione. In essa ci sono tante grandi parole, ma ne mancano due: verità e speranza. Non è una negligenza, né una distrazione. Sono parole “implicite” nelle altre, presupposte nell’impegno che ci chiede la Costituzione per essere cittadini vivi e onesti. Un impegno che è al tempo stesso costruzione di speranza e ricerca di verità.
luglio 2014
La foto di don Luigi Ciotti è di MARIANNA GIGLIO