Professor Impagliazzo, storico e presidente della Comunità di Sant’Egidio, l’opinione pubblica è stata colta alla sprovvista dalla guerra in Ucraina. Come mai? La guerra in Ucraina ha sorpreso un po’ tutti, soprattutto per gli sviluppi che ha assunto. Viviamo in un mondo interconnesso nel quale circola un mare di informazioni anche su ciò che accade a migliaia di chilometri da casa nostra, ma spesso è come una giostra che lascia frastornati e poco capaci di capire cosa realmente accade in tante parti del mondo. In Ucraina c’era la guerra dal 2014 ma in Italia se ne parlava poco e, soprattutto – come del resto anche in altri paesi europei – si era poco compresa la pericolosità di quel che veniva definito un conflitto “a bassa intensità”, i rischi che nascondeva.

Ci sono altre polveriere pronte a scoppiare? Lei ha detto: abbiamo la presunzione che le guerre degli altri non ci riguardino… Troppo spesso abbiamo pensato che la guerra fosse una cosa che riguardava l’Africa, il Medio Oriente e, comunque, altri continenti. Il suo arrivo in Europa deve farci prendere coscienza che ogni conflitto è estremamente pericoloso: prima di tutto, per le popolazioni che sono interessate e che ne sono vittime, ma anche per chi vive in nazioni più lontane geograficamente. Prima di quello ucraino esistevano – ed esistono ancora – numerosi conflitti. Basta pensare alla guerra in Siria, che non si è ancora conclusa a undici anni dal suo inizio, oppure a ciò che sta accadendo nel Nord del Mozambico e nei paesi del Sahel sotto attacco dei gruppi jihadisti: sono aree di crisi che ci devono interessare, se non altro per il grande numero di profughi che provocano. Chiudere gli occhi è non solo ingiusto dal punto di vista umanitario, ma anche incosciente riguardo alle conseguenze sull’Italia e sull’Europa.
I profughi non sembrano essere tutti uguali. Altre popolazioni bussano ai nostri confini nell’indifferenza generale, o generando rancore e populismi. Certamente. Purtroppo. Di fronte alle migliaia di profughi ucraini giunti in Europa è stato facile, quasi spontaneo aprire le porte all’accoglienza, come impegno umanitario, accompagnato per la prima volta da un pronto intervento sul piano formale attraverso l’adozione della “protezione temporanea”. Ciò è avvenuto perché li abbiamo sentiti “simili” a noi. Sarebbe opportuno che ci considerassimo simili a tutti coloro che fuggono dalle guerre. Sarebbe un importante antidoto agli stessi conflitti, perché invierebbe un segnale di pace anche all’interno delle nostre società europee, troppo impaurite, con politiche troppo spesso influenzate da sentimenti sovranisti, anche quando questi ultimi risultano minoritari all’interno di una nazione.
Dobbiamo ritrovare quella che lei chiama “l’inquietudine a difendere la pace”?
Ora più che mai la pace, la sua ricerca, l’impegno per realizzarla là dove esistono conflitti, deve essere un’inquietudine da coltivare e una priorità. Per troppo tempo abbiamo ritenuto che l’impegno a difenderla fosse secondario rispetto ad altri temi, come lo sviluppo economico. Ma dopo che la guerra ha raggiunto l’Europa capiamo quanto invece sia fondamentale anche per tutti gli altri campi della vita sociale. Per questo, quando la guerra in Ucraina era ancora solo una minaccia, come Comunità di Sant’Egidio abbiamo invitato le forze politiche, i sindacati e tutte le realtà della società civile a manifestare per la pace. È in questo modo, risvegliando le coscienze, che si realizza una prima scelta di pace. Poi con l’accoglienza ai profughi, testimoni della guerra, così come abbiamo fatto anche con la Coop. Ma poi si deve portare avanti una sensibilizzazione che deve interessare tutte le generazioni: dai più anziani, che possono testimoniare l’abisso del male della seconda guerra mondiale, ai più giovani che devono gridare a voce alta il loro diritto non solo ad essere nati in un continente in pace ma anche a volere invecchiare ugualmente nella pace. Perché cominciare una guerra è fin troppo facile, ma ricostruire la pace richiede a volte intere generazioni per la velenosa eredità che lascia a tutti i livelli di una società.