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Attualità

Di nuovo insieme per le festività

gente che festeggia

Intimo e affettuoso, un po’ più Natale. La fine del 2021 dovrebbe portarci, sotto l’albero, il dono di qualche libertà in più rispetto al dicembre 2020, quando l’Italia era in zona rossa, con i negozi in parte chiusi e festeggiamenti, visite ai congiunti, pranzi e cenoni nei ristoranti e negli alberghi erano uno slalom tra le misure anti-pandemia.

Se saremo responsabili e il virus non rialzerà la testa, potremo ritrovarci finalmente di nuovo insieme, vicini a chi amiamo. Una festa ritrovata, con il suo carico di simboli, emozioni, tradizioni, piatti tipici, decorazioni e regali, che coinvolge anche chi è estraneo al suo significato religioso. A volte, fino a scivolare nella retorica dolciastra e la corsa forsennata ai regali. «Il fatto che la celebrazione il Natale sia così sentita anche in un mondo secolarizzato come il nostro vuol dire senza dubbio che ha un significato che va al di là della dimensione strettamente religiosa – spiega Vito Mancuso, teologo, filosofo e accademico, autore di libri di successo che hanno scandagliato l’anima degli italiani -.  Altrimenti non si spiegherebbe l’importanza di questa festa. La Pasqua, ad esempio, per la mia sensibilità non ha lo stesso impatto sulla mente e sul cuore di noi occidentali e italiani: il Natale ha un significato più profondo. Uno di questi è quello del riunirsi,  il bisogno di relazione e calore umano, di famiglia, simboleggiati da Maria, Giuseppe e il bambino. Tutti veniamo da una famiglia: qualcuno ne conserva bei ricordi, altri meno, altri addirittura incubi. Può essere di un tipo o di un altro, allargata, ristretta… guardiamo però all’universale, alla sostanza che unisce, anche per un laico. Avere un’occasione in cui la nostra origine viene celebrata intercetta la sensibilità di molti, la sollecita».

Così il Natale ci permette di celebrare la nostra stessa nascita e il calore del rapporto con gli altri, cioè quei legami umani di cui abbiamo intimamente bisogno e che il Covid-19 ha intaccato così drammaticamente. «Le società hanno sempre avuto riti collettivi – prosegue Mancuso -. La societas è un insieme di soci: ci si associa agli altri quando c’è qualcosa di più grande del proprio interesse, del particulare. Tutti abbiamo bisogno di essere toccati in questa dimensione emotiva, calda, di contatto che va al di là del calcolo, in cui ci si può rilassare, essere sereni, affidarsi, che è data appunto dalle relazioni che ci permettono di restare umani. Questa dimensione ha bisogno di riti, per essere coltivata: è come una pianta, senza acqua muore. E l’acqua sono i riti, i momenti in cui si sta insieme, si celebra qualcosa. Una delle povertà del nostro tempo è proprio la mancanza di riti. Il Natale si differenzia rispetto ad altre feste esclusivamente religiose proprio perché ha una potenzialità rituale che tocca tutti gli esseri umani».

Natale, nascita e natura Una celebrazione che, fra l’altro, ha radici preesistenti al cristianesimo, che ha collocato convenzionalmente il 25 dicembre la nascita di Gesù. «Oltre al nostro bisogno di relazione – afferma Vito Mancuso – la seconda ragione che rende speciale il Natale si capisce dalla parola stessa, perché le singole parole non mentono. Natale ha la stessa radice di natura e nascita, il latino nascor. Oltre alle relazioni umane, la seconda cosa altrettanto universale per noi è la nascita». Infatti, in molte tradizioni si celebra la rinascita segnata dal solstizio d’inverno: per gli antichi il sole era ciò da cui dipendeva tutto, la vita stessa, e vedere il sole venire meno era un presagio di morte e di fine. Ma dopo il solstizio il sole riprendeva a prevalere sul buio, aumentando via via le ore di luce.

«Anche noi celebriamo questa sconfitta delle tenebre, il dies natalis, il sol invictus, non vinto, in cui i cristiani dal quarto secolo hanno collocato il Natale. Da sempre l’umanità ha sentito il bisogno di celebrare la nascita del sole, che corrisponde alla nascita di ciascuno di noi, alla natura vivente. Possiamo pensare che tutto questo sia dovuto alla provvidenza, al caso, al disegno divino, ma tutti celebriamo questo disegno: in questo pianeta blu c’è l’essere che nasce e rinasce. L’inconscio collettivo avverte queste cose e, al di là dei consumi e dei lustrini, nel Natale c’è qualcosa di più profondo che ci commuove, cioè muove con, ci muove insieme».

Solo un carosello commerciale? Dare ascolto a questi sentimenti è possibile solo se siamo in grado di percepire ciò che questo momento ha da dirci: «Abbiamo la possibilità di sentire la nostra profondità se ci raccogliamo, se lo vogliamo: non dobbiamo farci rubare il tempo dalla macchina dell’intrattenimento. Senza demonizzarla, ma è importante trovare momenti in cui torniamo dentro di noi e ascoltiamo ciò che emerge, per essere più profondi, genuini e veri».

A chi accusa questa festa di essersi trasformata in un carosello commerciale e guarda con terrore alla corsa agli acquisti e ai regali, Vito Mancuso ricorda anche il significato del dono: «Una festa consumista? Forse, può essere. La gratuità, fare un regalo, può diventare uno stress o un obbligo di cui non bisogna cadere schiavi. Ma nella vita non c’è niente che sia solo e del tutto facile; ogni cosa, anche bella, può avere aspetti faticosi o negativi. Ma io preferisco sottolineare la bellezza del dono, del dedicarsi all’altro, l’impegno e il tempo che mettiamo nel pensare, scegliere, preparare un regalo. La gratuità è una cosa straordinaria, in un mondo basato sul calcolo e l’interesse. E poi ci sono anche doni immateriali: passare un pomeriggio a scrivere una lettera, a mano, al proprio figlio o al proprio padre, non è un regalo che può commuovere? Se chi la riceve è una persona profonda può apprezzarla più dell’ennesima cravatta. Ciò che conta è l’intenzione, il valore, il tempo che si mette nel fare una cosa, non solo quanto si spende per un oggetto. Quando un regalo è pensato, si dona qualcosa che da un sé va a un altro sé».

La bontà che ci fa bene Allora, proprio offrire attenzione e tempo, dedicato o trascorso insieme, è forse il senso più profondo del Natale: «Ricordo – esemplifica Mancuso – che quando ero bambino mio padre quel giorno non usciva, non  andava al bar o con gli amici: stava a casa, a giocare a carte con me». Un momento per mettersi in ascolto, riappropriarsi delle emozioni in modo più profondo, schivando la banalità dei luoghi comuni.

A proposito: a Natale siamo tutti più buoni? «Se la capisci davvero, questa non è una frase fatta, irritante – afferma lo studioso – Uno dei nostri bisogni profondi è non essere cattivi, incattiviti, perché questo significa essere prigionieri. Essere cattivi è brutto, il nostro cuore si stringe, la nostra visione diventa ristretta. Essere generosi, capire l’altro, significa invece che mente e cuore si dilatano, si sta meglio e si fa stare meglio. In generale, nella vita è meglio essere buoni: la rende più bella, non solo a Natale»

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