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Crescita cercasi

Crescita cercasi

La crisi europea tra ruolo delo Stato e errori del mercato. Ma la linea "solo tagli" non funziona.

Per un mensile come il nostro è difficile riuscire a raccontare in diretta l’evoluzione convulsa e drammatica della crisi economica, politica e sociale che sta colpendo l’Europa e il nostro paese. Come in un balletto ansiogeno, giorno dopo giorno, gli spettri dello spread in crescita, della possibile uscita dall’Euro della Grecia, della crisi spagnola continuano a danzare sugli schermi tv e sulle pagine dei giornali. In attesa di conoscere l'esito dei nostri destini, c’è però una certezza sempre più evidente, e cioè che l’invisibile mano dei mercati finanziari continua a tirare i fili e sputare i suoi inappellabili verdetti. Verdetti contro i quali la politica si mostra impotente. Così anche i poveri cittadini si sentono inermi e, forse per questo, sempre più arrabbiati e desiderosi di un cambiamento sostanziale, come mostrano i risultati elettorali dalla Francia alla Grecia e fino alla Germania.

Democrazia e mercati
Del resto che il presidente della Consob (la società di controllo sulla borsa italiana), Giuseppe Vegas, nella sua relazione annuale abbia parlato di "una dittatura dello spread" che quasi vanifica la democrazia, è molto più di un paradosso. Un grande economista e premio Nobel come l’indiano Amartya Sen, ospite in Italia proprio in queste travagliate settimane, parlando alla Fondazione Gorrieri a Modena, ha ribadito come la povertà e la diseguaglianza che affliggono il nostro mondo non dipendono solo dalle differenze di reddito, ma anche dalla dimensione democratica del confronto pubblico.
"E oggi – spiega Sen – il potere finanziario e la sua capacità di influenzare l’agenda politica indicando le riforme, secondo lui, necessarie produce diseguaglianza ulteriore e indebolisce la democrazia. Così i cittadini, di fronte a questi programmi di austerità indiscriminata che vengono imposti in diverse nazioni, si sentono privati del potere di discutere e di interloquire. Ed è paradossale che ciò accada in paesi come la Grecia, che sono stati la culla della democrazia".
Ovviamente Sen, non nasconde la necessità, da parte di tutti i governi, di avere massima responsabilità nella gestione dei bilanci e nel portare avanti riforme che migliorino i conti pubblici. "Ma – aggiunge – è da evitare il cadere dalla padella di una cattiva gestione dei conti, nella brace di politiche di tagli indiscriminati, che non aiutano a uscire dalla crisi e anzi rischiano di determinare una spirale catastrofica che fa vacillare la sostenibilità dell’Euroclub".

Di chi è la colpa?
E qui emerge quel che è un punto decisivo, che è bene aver sempre presente, anche in settimane convulse come queste. E cioè ricordare l’origine di questa crisi, che ormai si trascina dal 2008, prima di decidere che strada imboccare per uscirne. Infatti Amartya Sen lo dice con estrema chiarezza: "Le difficoltà che specie l’Europa vive, derivano più dall’inadeguatezza delle risposte politiche che non dalle conseguenze della crisi stessa. E questa debolezza di risposte ha colpito e vanificato gli stessi tentativi di ripresa". E aggiunge: "Questa è una crisi iniziata come un fallimento del mercato e non dello Stato. E se poi lo Stato ha visto aumentare il suo debito, è perchè ha salvato le banche dal fallimento. Quindi è un errore intellettuale far sembrare che l’origine della crisi derivi dal versante pubblico. Certo riformare la spesa dello Stato è necessario, ma la crisi non è nata lì. E oggi imporre come priorità quella dell’austerità e dei tagli è un limite".
Servono crescita, sostegno allo sviluppo e un ruolo attivo dello Stato per far decollare questi processi economici. Ma soprattutto servono risorse. E qui sta il nodo: la vittoria socialista in Francia, le necessità urgenti specie della Spagna, l'insistenza dello stesso presidente Usa Obama riusciranno a scalfire l’intransigenza tedesca sull'aprire i cordoni della borsa? Il dibattito è in corso (attivazione di bond europei, ruolo della Bce, possibilità di non conteggiare gli investimenti nelle stime sul deficit) con qualche spiraglio in più ma ancora senza una soluzione certa. Con in più l’incognita delle elezioni bis in Grecia, dove i cittadini stanno ritirando i soldi dalle banche (come anche in Spagna succede) temendo il crollo. Dunque si cammina sull'orlo del baratro…
Ma il professor Sen ribadisce che la storia del XX secolo è piena di esempi che indicano come la crescita sia il modo migliore per creare risorse e poi riuscire a tagliare i disavanzi degli Stati. E su questa strada occorre muoversi, andando oltre il pensiero di un economista come Keynes. 

Diagnosi e la cura unica
Un'impostazione simile viene espressa anche da un economista e banchiere come PietroModiano, presidente del prestigioso centro studi di Nomisma (fu lui, che nel settembre scorso lanciò la proposta di introdurre una tassa patrimoniale nel nostro paese): "Oggi il punto è che c’è un pensiero economico dominante che diagnostica la malattia solo in funzione del fatto che si adatti all’unica cura che si conosce e che si vuole imporre. E cioè quella dei tagli, della riduzione del ruolo dello Stato e di una maggiore flessibilità del mercato del lavoro. Ma questa è pura ideologia, così si cura una malattia che non c’è".
Modiano, sulla base dei dati di aprile 2012 del Fondo monetario internazionale (quindi un’arbitro più che affidabile), spiega come il vero grande problema dell’Italia sia l’enorme stock di debito pubblico accumulato (120% del Pil, pari a quasi 2.000 miliardi). Per questo l’andamento dei tassi (il temuto spread) è decisivo per tenere i conti in equilibrio.
Ma, ben consapevoli di questo, se si guarda al raggiungimento degli obiettivi di riduzione del debito imposti dal Fiscal compact europeo (cioè portare il debito al 60% sul Pil entro il 2030), si scopre come (secondo l’Fmi) l’Italia, tenendo conto di diversi fattori (inclusa la spesa per pensioni e sanità su cui va a incidere la recente riforma Monti), è uno dei paesi messi meglio a livello europeo, superata solo dalla Germania.
Infatti il tasso a noi necessario per arrivare a conseguire l’obiettivo 60%, è di un rientro annuo pari a 3,4 punti di Pil, contro i 2,3 punti della Germania, i 6,6 della Francia, i 10 della Spagna, i 10,3 dell’Olanda, gli 11,3 della Gran Bretagna, i 10,7 della Grecia. È chiaro che un 3,4% del Pil significa comunque 45/50 miliardi all’anno (che sono tanti), ma come spiega Modiano "il punto è capire perché la speculazione debba colpire più l’Italia di altri paesi, se le cifre del Fmi dicono che siamo messi meglio di altri".

Redistribuire il reddito
Certo la credibilità di governo e classe politica nel portare avanti impegni e riforme è fondamentale, come decisivo è il contesto europeo in cui ci si muove (in questi giorni lo spread dipende più da Grecia e Spagna che da noi stessi), ma dunque qualche elemento positivo c’è.
In più spiega sempre Modiano, è da ricordare che questa litania sulla mancanza di competitività del paese (per cui la cura richiesta dal solito "medico" è l'aumento della flessibilità), non risponde a verità. Nel senso che "dove c’è da competere, come nel campo manifatturiero, l’Italia è capacissima di farlo, visto che la nostra industria continua a esportare (più 11% nel 2011) esattamente come nella media dei paesi europei. Abbiamo aziende che hanno realizzato prodotti nuovi e sono state capaci di confrontarsi al meglio con i competitori di altri paesi. Semmai i problemi li abbiamo in quei comparti del paese dove competizione e meritocrazia mancano".
Dunque si ritorna al problema di fondo, delle ricette da usare per uscire dalla crisi. Una crisi originata dal mercato e dalla finanza che però qualcuno vuol far pagare solo allo Stato e quindi ai cittadini, specie più deboli.
"Certo – prosegue Modiano – c’è da operare, soprattutto in sede europea, per costruire una rete di protezione sul debito, questa per noi è la priorità assoluta. Ma poi ci sono opzioni politiche diverse su cui discutere, sulla base di programmi alternativi. Oggi redistribuire il reddito è la priorità. Rispetto alle priorità indicate ad esempio nella famosa lettera dalle Bce al nostro governo l’agenda deve cambiare decisamente".
Tutte queste considerazioni, non sfuggono alla difficoltà di definire incisive politiche di riforma del settore pubblico e del comparto dei servizi, per renderlo più efficiente e capace di rispondere alle esigenze e alle aspettative dei cittadini. Ma senza dimenticare il punto di partenza.
Racconta Amartya Sen che la sera delle elezioni francesi e greche, ascoltava sulla Bbc alcuni economisti che si stupivano della incapacità della gente di apprezzare le ricette (a base di tagli) sin qui proposte. Come se il problema non fosse che chi governa si deve dimostrare all’altezza del compito, ma la colpa è del popolo che non capisce.

 



Dario Guidi

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