Attualità

Con le mani in pasta

Cuoca_6braccia.jpgChi avrebbe immaginato, qualche anno fa, che tutti noi avremmo potuto discettare di impiattamenti e mise en place? Che avremmo saputo la differenza tra concassé e julienne?
Tutto merito (o colpa) della televisione che – come si sa – ha la forza del leone. E siccome la cucina ha cominciato ad essere uno dei pilastri dell’intrattenimento televisivo – con programmi a tutte le ore, su tutti gli argomenti gastronomici, e interi canali dedicati – eccoci tutti esperti. Appassionati. Forse ossessionati.
“Ossessionati – obietta Massimo Montanari, docente di storia dell’alimentazione all’Università di Bologna – non è forse la parola più adatta. Diciamo che attorno al cibo è esplosa una quantità di attenzioni che non hanno precedenti nella storia. Ovvero: non hanno precedenti come fenomeno di massa. In realtà se guardiamo alla cultura delle classi dominanti, le attenzioni al cibo sono state fortissime anche in passato. Libri di cucina, maniere di stare a tavola, testi di dietetica, letteratura… tutto ci trasmette, nel passato, qualcosa che potrebbe assomigliare una ossessione del cibo. La differenza è che tutto ciò, un tempo, riguardava solo i pochi che potevano permettersi di riflettere sul cibo, di scegliere: in funzione del piacere, della salute, dello spettacolo. Oggi, la maggiore accessibilità del cibo e l’allargamento sociale della possibilità di scegliere fa sì che di cibo parlino tutti. Con molti equivoci, con molti fraintendimenti. Un processo di democratizzazione ha allargato il pubblico potenziale di questi discorsi”.
Per dare corpo al significato della parola “democratizzazione” bisogna considerare non solo la tv, ma anche i centinaia di blog di cucina, in cui migliaia di persone scrivono ogni giorno ricette, recensioni, sperimentazioni culinarie. Oltre 415mila italiani hanno dichiarato di partecipare regolarmente a community sul web centrate sul cibo. Poi ci sono i libri di cucina  che spesso sono tra i titoli più venduti e per parecchie settimane. Per non parlare poi di fiere, sagre, saloni. Dal Salone del Gusto, celebrata e pionieristica manifestazione organizzata da Slow Food, sono passate 220mila persone, lo scorso anno.
Cuochi.jpgE i consumi? Seguono la tendenza. Secondo la Coldiretti, a fronte di un taglio della spesa per 1,1 miliardi dei prodotti confezionati, si registra un boom negli acquisti degli ingredienti base come farina, uova, zucchero e burro che non si era mai stato registrato dal dopoguerra: l’aumento è dell’8% per la farina, del 6% per le uova e del 4% per il burro, contro un calo dell’1,5% degli alimentari registrato nella grande distribuzione. Il ricorso al fai da te – sottolinea la Coldiretti – è certamente il frutto dell’esigenza di risparmiare per la riduzione del potere di acquisto ma anche della ricerca di una migliore qualità dell’alimentazione. Preparare in casa il pane, la pasta, le conserve, lo yogurt o le confetture ed i dolci, oltre a risparmiare garantisce infatti – sostiene la Coldiretti – la qualità degli ingredienti utilizzati. Secondo un’indagine Coldiretti/Swg un italiano su tre (33 per cento) prepara più spesso rispetto al passato la pizza in casa, il 19 per cento più frequentemente fa addirittura il pane, il 18 per cento marmellate, sottoli o sottaceti, il 13 per cento la pasta e l’11 per cento i dolci.
Insomma, l’italiano medio s’è rimesso ai fornelli, vuoi per la crisi, vuoi per una ritrovata passione per il fai-da-te. E allora si cercano informazioni in rete, ci si scambia la ricetta migliore per la frolla e si recuperano le ricette della tradizione. Si scopre che non c’è niente come impastare, per scaricare le tensioni e rassodare i bicipiti. E la tv cavalca la tendenza. “Fino agli anni ’90 il cibo era bandito dagli schermi – spiega Roberto Burdese, presidente di Slow Food – magari in passato c’erano stati Ave Ninchi e Veronelli, con trasmissioni di grande qualità – niente a che vedere con la pornografia del cibo di oggi, con tanti troppi programmi diseducativi, cuochi e cibo a qualisiasi ora… Perché accade? È semplice, perché non capiamo più niente di cibo, perché siamo incapaci di cucinare, e così siamo passati dal nulla al troppo senza occuparci della qualità di ciò che ci viene trasmesso. Il cibo è una delle cose più importanti della nostra vita, la nostra stessa identità, eppure quello che passa dalla tv il più delle volte non ci dice nulla, su questo, oppure ci comunica addirittura valori sbagliati, sia per quanto riguarda la nostra salute che per le conseguenze – a livello ambientale, politico ed economico – provocate da ciò che consumiamo. Raramente, ad esempio, si parla di stagionalità dei prodotti”.
“Che impressione – dice ad esempio Aurora Mazzucchelli, chef stellata al ristorante Marconi di Sasso Marconi – vedere certi talent show in cui vengono buttati i piatti a terra, se non piacciono al giudice. Ma il cibo non si può buttare, e farlo in tv è terribilmente diseducativo. Poi magari poco più avanti un concorrente viene squalificato perché nello sfilettare un pesce ne ha sprecato… Insomma, vien detto tutto e il contrario di tutto”. Il problema è che per molte persone, anche per molti adolescenti, la tv è l’unica fonte di informazione, e allora se lo chef è diventata una star, più dei cantanti e dei ballerini, accade che le iscrizioni alla scuola alberghiera si siano praticamente raddoppiate nel giro di qualche anno. Perché fare il cuoco sembra essere diventata una scorciatoia per il successo e i soldi facili. “Ma il lavoro di cucina è del tutto diverso, nei tempi, soprattutto, e anche nei modi, da quello che si vede in tv”, spiega la chef Mazzucchelli.
Che continua: “Fare i cuochi vuol dire impegnarsi tanto: ci vuole molto tempo, passione, sacrificio e pazienza, per stare in cucina. Vedendo quelle trasmissioni sembra che sia facile e veloce, ma non è così né in casa, né, tanto meno, nei ristoranti. Questo mestiere lo si fa soltanto se lo si ama. E poi sembra anche si debba per forza essere arroganti, buttare i piatti per terra e urlare ai sottoposti: invece io credo che le cucine si siano evolute verso una maggiore comunicazione tra tutte le persone che ci lavorano, verso il concetto di squadra”.
Sfoglia.jpg“Sì, conferma il professor Montanari – oggi i mezzi di comunicazione di massa trasmettono contenuti che si possono criticare per la loro volgarità. Per esempio, il fatto che si enfatizzi sempre l’idea della gara, della competizione, del giudizio su quello che fanno gli altri. Lo trovo diseducativo. Lo si potrebbe fare invece trasmettendo idee contrarie: la tolleranza della diversità, il rispetto per le idee e per i gusti degli altri. L’idea, soprattutto, che per cucinare sono importanti le regole. Regole a cui pochi prestano attenzione, mentre si enfatizzano la competizione, l’invenzione, la sorpresa. Anche l’improvvisazione. L’individualismo sfrenato vince sulla cultura delle regole, che è invece cultura collettiva”.  
C’è qualcosa da salvare, in tutto questa indigestione di cibo? “Da una parte c’è la giusta valutazione della figura del cuoco – spiega Burdese – che noi come Slow Food abbiamo sempre tenuto in grande considerazione: perchè i cuochi hanno il ruolo fondamentale di contatto diretto con i consumatori e dunque possono essere messaggeri di informazione e conoscenza, veri e propri educatori; senza parlare del fatto che possono condizionare positivamente l’economia agricola di un territorio. Per quanto riguarda invece la considerazione sulla ricerca di qualità credo che ci sia tra i consumatori una frattura: da una parte chi cerca solo il cibo più economico, disinteressandosi della sua qualità, e chi invece ha deciso di prestare molta attenzione al cibo”. “Sì, c’è molta attenzione al cibo, e i blog e le lezioni di cucina, e tanti ricettari – conferma la chef Mazzucchelli – ma se penso alla maggioranza delle persone non mi sento proprio sicura di affermare che oggi si dia importanza alla qualità. Per quanto riguarda noi cuochi certo aiuta l’attenzione su di noi: ma a patto che si rispetti la nostra funzione primaria che è quella di far da mangiare bene, e poi certo anche di comunicare l’emozione di un piatto e spiegare perché è nato, da dove viene, quali produttori ci sono dietro. Ma che non si pretenda che si debba dare spettacolo…”

(aprile 2012)

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