Il 5% degli italiani tra i 14 e i 65 anni non è in grado di decifrare singole cifre o lettere. È praticamente analfabeta. Il 33% fatica anche a leggere frasi semplici, ma soprattutto “non può decifrare un testo scritto che riguardi fatti collettivi – scrive il linguista Tullio De Mauro – di rilievo anche nella vita quotidiana. Un grafico con qualche percentuale è per loro un’icona incomprensibile”. Complessivamente oltre il 70% degli italiani si trova sotto il livello di comprensione di un testo scritto di media lunghezza. Dunque non è in grado di leggere un giornale, o un libretto di istruzioni, di comprendere un contratto di lavoro, o un programma politico, o il “bugiardino” di un farmaco. La vastità del fenomeno ha dimensioni di una catastrofe nazionale.
Chi ha ridotto così gli italiani? E quando? “Sono decenni che non si investe nella cultura, nella scolarizzazione e nella educazione permanente degli adulti, anche dopo la scuola – spiega Elisa Manna responsabile del settore politiche culturali del Censis – e ciò che oggi abbiamo di fronte è un italiano medio fragile e manipolabile. C’è dietro un progetto politico preciso? Forse si può dire che è stato estremamente redditizio per la classe politica stornare fondi dalla cultura e al contempo ridurre la popolazione a uno stato di minorità, rendendola sostanzialmente incapace di essere consapevole dei propri diritti e incapace di costruirsi un’opinione autonoma. E infatti espressioni di questa situazione sono il non voto e il voto di protesta, posizioni assolutamente comprensibili, sia chiaro, ma che però somigliano forse a un urlo, e come tale incapace di esprimere poi un cambiamento”.
Le altre conseguenze di questa catastrofe sono a livello economico: “Se partiamo dalla constatazione che la nostra società è sempre più complessa – spiega Manna – le conseguenze sono su più livelli. Quello lavorativo, anzitutto, che ci rende poco competitivi, a livello singolo e a livello collettivo come paese. La crisi economica ha poi provocato un aumento delle disparità nelle opportunità di studio e di formazione: la forbice che si è creata, tra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri, è anche una forbice per quanto riguarda la cultura. Chi è abbiente può frequentare le migliori università, andare all’estero, viaggiare, studiare le lingue e specializzarsi. Chi appartiene alle classi meno abbienti non investe più – addirittura ancora meno che nel passato – sulla cultura di sé e dei propri figli. Non scommette più sul fatto che studiare possa consentire di migliorare la propria condizione sociale ed economica e all’ascensore sociale di decollare”. Lo scenario, insomma, è quello di un’Italia sempre più diseguale in cui i ricchi studiano – e guadagnano, e comandano – e i poveri restano al palo, incapaci di capire ciò che gli accade intorno.
Ma le conseguenze della difficoltà a leggere e a scrivere sono evidenti anche sul piano delle relazioni interpersonali. “I recenti fatti di cronaca violenta – continua la responsabile culturale del Censis – ci dicono che tante persone sanno esprimere o amore o odio. O bianco o nero. Una limitata capacità di espressione ingolfa i sentimenti. Se non si hanno le parole si può essere sopraffatti dalle emozioni che poi possono sfociare nella frustrazione e nell’aggressività”. Così la non consapevolezza diventa totale, e comprende la sfera non solo della politica e dei diritti, ma anche quella della propria identità e delle proprie emozioni. Tant’è che siamo tra i popoli che in Europa leggono meno… ma certo qualche primato l’abbiamo: siamo primi in Europa per consumi di giochi, videogiochi e chirurgia estetica. “L’Italia è un paese narcisista – continua Manna – che non riesce ad affrontare i propri problemi. Che non vuole maturare. C’è chi ha definito i giovani italiani bamboccioni… Ma probabilmente lo siamo tutti”.
Bamboccioni che non toccano un libro. Nel 2011, al netto delle persone sotto i sei anni di età, il 54,7% della popolazione (cioè 31,5 milioni) non legge nemmeno un libro all’anno. Ovvero: non legge mai. E il numero delle persone che leggono almeno un libro all’anno (e poi bisognerebbe indagare su quale libro…) in Italia non ha mai superato il 50% della popolazione. Solo il 15% degli italiani sono lettori cosiddetti “voraci” o forti (che leggono cioè almeno un libro al mese). Eppure come dice Tullio De Mauro, c’è un modo semplice e alla portata di tutti, per combattere l’analfabetismo di ritorno o funzionale. Aprire un libro e leggerlo.
Analfabeti di ritorno

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