Attualità

“20-20-20. L’Italia deve muoversi per rispettare gli impegni europei”

"20-20-20. L'Italia deve muoversi"
Intervista al professor Leonardo Setti sugli impegni previsti dal piano europo e che il nostro paese deve attuare (altrmenti pagherà delle sanzioni)

Docente di energia rinnovabile e biocombustibile dell’Università di Bologna, Leonardo Setti dal 2003 svolge ricerche nell’ambito delle tecnologie per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Lo abbiamo intervistato
Cos’è la strategia 20-20-20?
È di fatto una serie di direttive che obbligano i Paesi membri a concorrere per raggiungere una serie di obiettivi energetici a livello europeo: il primo è ridurre i consumi di energia del 20% al fine di prevenire le emissioni di anidride carbonica; il secondo quello di portare la quota di energie rinnovabili impiegate al 20% e il terzo obiettivo che è poi il principale è quello di ridurre le emissioni di CO2 anche in questo caso del 20%.
Come si pone l’Italia di fronte a questa sfida?
Noi come ogni altro Stato membro abbiamo un obbligo rispetto all’Europa e dobbiamo fare la nostra parte. Se gli obiettivi complessivi sono quelli di cui si diceva prima quelli specifici per nazione sono stati modulati in base ad alcuni fattori come il livello di industrializzazione, il numero di abitanti, fattori climatici, disponibilità di risorse proprie, PIL ecc. al fine di assegnare un obiettivo raggiungibile da ogni Paese. Il nostro specifico obiettivo in merito alle rinnovabili è del 17% entro il 2020. Non si tratta di un obiettivo facoltativo, ma di un obbligo con tanto di regole e sanzioni. 
Quali sanzioni?
La direttiva numero 28 del 2009, che è la più significativa in relazione alla strategia 20-20-20, parla chiaro: chi non raggiunge l’obiettivo – coerentemente con il principio europeo del "chi inquina paga" – ha l’obbligo di colmare la differenza tra risultato ottenuto e obiettivo mancato, attraverso l’acquisto di energia elettrica generata in modo rinnovabile dagli altri Stati membri che invece hanno superato il loro target.
Ma c’è un coinvolgimento anche di Regioni e Comuni?
Certamente, una volta che lo stato membro ha recepito la sua quota di energia da fonte rinnovabile al 2020, dovrà ripartire tale quota con gli Enti Locali di riferimento utilizzando per la suddivisione, gli stessi criteri utilizzati in Europa trasferendo, già a partire dal 2012, le responsabilità dalle Regioni alle Provincie e infine ai Comuni.
Questo vuol dire che i livelli di responsabilità dei Comuni sono destinati a crescere e non a caso l’Europa ha pensato di stipulare un Patto coi Sindaci proprio per favorire il protagonismo locale in tema energetico. Un protagonismo che porterà una certa "competizione" tra i territori e la necessità di ripartire debiti e crediti con la compravendita di energia tra comuni virtuosi e non.
Da dove devono partire i Comuni?
Sicuramente dal piano energetico comunale. Si tratta di un indispensabile quadro conoscitivo a livello territoriale dei propri consumi e delle proprie potenzialità. In altri termini è il documento che spiega dove sono allocati i consumi, come si potrebbe fare efficienza o implementare energia rinnovabile.
Il risultato finale è una serie di indicazioni per azioni precise: quali e quanti edifici cominciare a riqualificare, quanti impianti fotovoltaici installare, quanto solare termico, quanti impianti a biomasse o a biogas realizzare e così via. Ma la vera risorsa per i comuni saranno i cittadini e il loro coinvolgimento. Se al 2050 dobbiamo consumare per l’80% energia da rinnovabili tutti verremo coinvolti. Ogni singolo cittadino dovrà rendere conto del proprio percorso energetico, ma dovrà anche essere messo nelle condizioni di compiere tutte quelle azioni che possano fare di lui un cittadino energeticamente virtuoso.   Docente di energia rinnovabile e biocombustibile dell’Università di Bologna, Leonardo Setti dal 2003 svolge ricerche nell’ambito delle tecnologie per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Lo abbiamo intervistato
Cos’è la strategia 20-20-20?
È di fatto una serie di direttive che obbligano i Paesi membri a concorrere per raggiungere una serie di obiettivi energetici a livello europeo: il primo è ridurre i consumi di energia del 20% al fine di prevenire le emissioni di anidride carbonica; il secondo quello di portare la quota di energie rinnovabili impiegate al 20% e il terzo obiettivo che è poi il principale è quello di ridurre le emissioni di CO2 anche in questo caso del 20%.
Come si pone l’Italia di fronte a questa sfida?
Noi come ogni altro Stato membro abbiamo un obbligo rispetto all’Europa e dobbiamo fare la nostra parte. Se gli obiettivi complessivi sono quelli di cui si diceva prima quelli specifici per nazione sono stati modulati in base ad alcuni fattori come il livello di industrializzazione, il numero di abitanti, fattori climatici, disponibilità di risorse proprie, PIL ecc. al fine di assegnare un obiettivo raggiungibile da ogni Paese. Il nostro specifico obiettivo in merito alle rinnovabili è del 17% entro il 2020. Non si tratta di un obiettivo facoltativo, ma di un obbligo con tanto di regole e sanzioni. 
Quali sanzioni?
La direttiva numero 28 del 2009, che è la più significativa in relazione alla strategia 20-20-20, parla chiaro: chi non raggiunge l’obiettivo – coerentemente con il principio europeo del "chi inquina paga" – ha l’obbligo di colmare la differenza tra risultato ottenuto e obiettivo mancato, attraverso l’acquisto di energia elettrica generata in modo rinnovabile dagli altri Stati membri che invece hanno superato il loro target.
Ma c’è un coinvolgimento anche di Regioni e Comuni?
Certamente, una volta che lo stato membro ha recepito la sua quota di energia da fonte rinnovabile al 2020, dovrà ripartire tale quota con gli Enti Locali di riferimento utilizzando per la suddivisione, gli stessi criteri utilizzati in Europa trasferendo, già a partire dal 2012, le responsabilità dalle Regioni alle Provincie e infine ai Comuni.
Questo vuol dire che i livelli di responsabilità dei Comuni sono destinati a crescere e non a caso l’Europa ha pensato di stipulare un Patto coi Sindaci proprio per favorire il protagonismo locale in tema energetico. Un protagonismo che porterà una certa "competizione" tra i territori e la necessità di ripartire debiti e crediti con la compravendita di energia tra comuni virtuosi e non.
Da dove devono partire i Comuni?
Sicuramente dal piano energetico comunale. Si tratta di un indispensabile quadro conoscitivo a livello territoriale dei propri consumi e delle proprie potenzialità. In altri termini è il documento che spiega dove sono allocati i consumi, come si potrebbe fare efficienza o implementare energia rinnovabile.
Il risultato finale è una serie di indicazioni per azioni precise: quali e quanti edifici cominciare a riqualificare, quanti impianti fotovoltaici installare, quanto solare termico, quanti impianti a biomasse o a biogas realizzare e così via. Ma la vera risorsa per i comuni saranno i cittadini e il loro coinvolgimento. Se al 2050 dobbiamo consumare per l’80% energia da rinnovabili tutti verremo coinvolti. Ogni singolo cittadino dovrà rendere conto del proprio percorso energetico, ma dovrà anche essere messo nelle condizioni di compiere tutte quelle azioni che possano fare di lui un cittadino energeticamente virtuoso.   



Bibì Bellini

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