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Un futuro senza caffè?

I vigneti coltivati in Gran Bretagna, mentre in Sassonia si colgono le pesche, in Sicilia mango e avocado e arrivano i primi raccolti di caffè nel Palermitano, in quello che è diventato il punto più a Nord del pianeta in cui la pianta è coltivata, in via sperimentale. Tutti effetti del cambiamento climatico che nel 2022, l’anno più bollente di sempre (con una temperatura superiore di +0,98 gradi rispetto alla media storica e precipitazioni in calo del 45%, dati Cnr), è risultato evidente a tutti. Ma è forse il caffè, pianta estremamente delicata e sensibile ai fenomeni climatici – siccità e troppa piovosità – e alle stagioni, il miglior indicatore di quanto sta succedendo sul pianeta e… dentro casa nostra.

Ci aspetta un futuro senza l’adorata tazzina? «A causa dell’aumento della temperatura, si stima che nel 2050 l’area di produzione del caffè sarà ridotta del 50%», risponde Giulia Camparsi, supply chain manager di Fairtrade. «Si sono già spostate le aree coltivate, ma soprattutto stanno diminuendo». Prossimamente berremo caffè siciliano o argentino? Niente di più facile, osservando la geografia dei siti idonei alla coltivazione.

La cintura “marrone” del caffè, infatti, che da secoli è compresa tra i due tropici, si sta allontanando e assottigliando progressivamente (qui sotto la mappa). La pianta ha bisogno di una temperatura tra i 18 e i 28 gradi al massimo. Arabica soprattutto, ma anche Robusta, le due principali varietà, necessitano, inoltre, assieme a un clima moderato e costante, di una fascia di rispetto per la stagione delle piogge, che deve arrivare al momento giusto per far sì che il fiore si trasformi in frutto e i raccolti non si riducano. La siccità porta all’appassimento della pianta e alla caduta del frutto, la poca o troppa acqua ingenera debolezza e favorisce le malattie nei circa tre anni di durata del ciclo produttivo. A causa delle gelate del 2021, il Brasile ha perso nel 2022 il 20% del raccolto di caffè e gran parte del Sud America soffre. «Il problema lo viviamo sulla nostra pelle», racconta Griselda Jarquin López, direttrice di una grande cooperativa di caffè, la Uca di San Juan del Río Coco, nel nord del Nicaragua. «Fino a tre anni fa avevamo il dubbio se il cambiamento climatico esistesse veramente o fosse un argomento di cui si parlava nei paesi in via di sviluppo. Ma oggi ci rendiamo conto che è una realtà. Avere circa 7 mesi di pioggia l’anno per noi era normale, mentre ora abbiamo alcuni mesi piovosi accanto ad altri molto secchi. Quest’anno un eccesso di acqua ha ridotto decisamente le rese».

Mitigare il caffè Del chicco che comincia a scarseggiare si è discusso al recente festival dello Sviluppo sostenibile dell’Asvis (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile), in un seminario a cura di Fairtrade Italia e Coop. Varie e a largo spettro sono le misure introdotte per mitigare gli eccessi del clima, a monte di una lunghissima filiera che fa il giro del mondo: si va dalla riforestazione all’agricoltura rigenerativa che ripristini la biodiversità, al mettere le piantine all’ombra di alberi più alti – come mango, avocado o banano – che abbassano le temperature e danno agli agricoltori un reddito aggiuntivo, fino a cambiare le forme stesse di lavorazione di questa materia prima quotata alla borsa di New York. Ma anche studiare incroci per selezionare cultivar più resistenti al caldo. «Si tratta comunque di operazioni a lungo termine e con tecnologie costosissime», fa notare Paolo Bonsignore, direttore marketing di Coop. L’80% del caffè è prodotto da 25 milioni di piccoli agricoltori che ora rischiano non poco.

Si calcola che 125 milioni di persone dipendano dal caffè per sopravvivere, e devono essere messe in condizione di difendere il proprio reddito – osserva Bonsignore – n0nché, in prospettiva, di fare sviluppo d’impresa. Ma non hanno la forza per fare economie di scala né mezzi e tecnologie per reggere gli sconquassi del clima. Per questo Fairtrade e Coop possono avere, e già hanno, un ruolo importante: la prima nel supportare gli agricoltori attraverso i prodotti equo e solidali che mirano a cambiare le regole del commercio, affinché il produttore agricolo tragga un maggior guadagno dal suo lavoro e abbia una vita più dignitosa; Coop nel garantire sbocchi nei propri negozi dove ogni giorno transitano più di 1 milione di persone che qui trovano i prodotti Solidal e Fairtrade.

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