Per due settimane, dal 30 novembre all’11 dicembre, Parigi presiederà la ventunesima Conferenza delle parti (Cop 21) delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Accanto al problema quantitativo delle percentuali di riduzione dei gas serra, se ne affronterà anche uno etico che attiene alla equità nei meccanismi di distribuzione dello sforzo per “mitigare” la crisi climatica (stiamo parlando di questo, non di risolverla…). “Occorre avviare una equa convergenza verso un livello sostenibile di emissioni pro-capite”, scrive il presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile Edo Ronchi. Il quale sottolinea che i più poveri stanno pagando il conto più salato essendo più direttamente legati alle risorse naturali per il loro sostentamento e non avendo tecnologie e strumenti per adeguarsi agli sconvolgimenti climatici.
Molti sono gli spunti da sviluppare per un buon accordo a Parigi. Tra questi definire target vincolanti e periodicamente verificabili; vietare la costruzione di nuove centrali a carbone chiudendo le più vecchie e inefficienti; ridurre il consumo di petrolio evitando nuove perforazioni in zone ecologicamente delicate. Tra i maggiori ostacoli da abbattere, ovviamente, c’è la lobby dell’industria dei combustibili fossili. “Va discriminata come quella del tabacco e non sostenuta dai governi”, suggerisce José Maria Vera Villacián, direttore esecutivo della ong spagnola Oxfam IntermÓn, costola dell’Oxam internazionale. “Contro 1 dollaro speso a favore della green economy – è il suo j’accuse – ce ne sono 6 sborsati a sostegno dell’economia fossile“. Il paradosso è proprio questo, che mentre ci si scanna per limare le percentuali di riduzione, i sussidi dei governi ai combustibili fossili hanno raggiunto nel 2014 la cifra di 510 miliardi di dollari!
Altri spunti interessanti sottoposti all’attenzione dei 195 paesi convocati a Parigi sono il rafforzamento degli investimenti nell’economia verde; politiche e misure di risparmio energetico in tutti i settori; un incremento delle fonti rinnovabili con target adeguati sottoscritti dai principali emettitori. Nel 2013 (dati Iea), le fonti rinnovabili (cresciute del 64% sul 1990) hanno fornito il 14% della domanda primaria di energia contro l’81% ancora soddisfatto con fonti fossili (per l’esattezza il 29% dal carbone, il 31% dal petrolio e il 21% dal gas). Sul tavolo ci sono anche l’estensione della riduzione della carbon tax e il controllo del settore dei trasporti, che da solo nel 2013 ha consumato il 27,8% dell’energia producendo il 21% delle emissioni mondiali di CO2 (+60% rispetto al 1990, con lo spettro della forte crescita di mobilità prevista nei prossimi decenni in Cina, India, Russia e nei paesi in via di sviluppo, e gli scandali come quello della Volkswagen spie di un approccio malato al problema).
Tanti i temi da affrontare, dunque, a Parigi per una sfida importantissima per le sorti dell’umanità. E tanti anche i punti interrogativi. Uno su tutti: una politica che è sempre più focalizzata sui risultati immediati. Quello che il mondo scientifico teme più di ogni altra cosa è proprio l’incapacità dei politici di mettere il “climatic change” davanti a tutto, interessi compresi. “Non capiscono una cosa”, osserva Nicholas Stern: “Se falliamo l’obiettivo del cambiamento climatico, falliremo anche quello della riduzione della povertà e delle diseguaglianze su tutto il pianeta”.
novembre 2015