Uscendo di casa con i vari sacchi del “rusco” dovremmo cominciare a pensare che non portiamo dei pesi di cui ci stiamo liberando, non si tratta nemmeno più tecnicamente di “rifiuti“.
Se correttamente differenziati e conferiti senza commettere grossolani errori (vedi box a lato), nel cassonetto giusto, nella campana inserendoli privi di residui di cibo, all’isola ecologica quando si tratta di televisori o materassi, o aspettando il giorno del ritiro “porta a porta” per chi ce l’ha – vista la casistica infinita dei servizi ambientali in Italia, tanti quanti sono i suoi Comuni – quei “rifiuti” in realtà sono pezzi preziosi di ingranaggi che stanno facendo girare l'”economia circolare”: risorse dunque e non scarti di consumo per un futuro che dovrà essere più “green” e meno dipendente dalle materie prime (le quali scarseggiano e qualora provengano da fuori continente, ad esempio dalla Cina, pongono problemi di controllo della qualità e se in arrivo da aree di guerra questioni di opportunità e di equilibri geopolitici).
Di materie prime “secondarie” con assoluta pari dignità rispetto alle primarie e di “circular economy”, cioè di economia circolare che sostituisce quella lineare, sentiremo sempre più parlare nei prossimi mesi perché il 2 dicembre la Commissione Europea presieduta da Jean Claude Juncker ha adottato un pacchetto di misure molto importanti che cambiano il ciclo di vita di un prodotto: dalla sua progettazione alla gestione dei rifiuti, dai processi industriali ai comportamenti dei consumatori. L’obiettivo è di allungarne il più possibile la vita negli anni, un po’ come avviene per l’uomo… Il “fine vita” di un rifiuto (end of waste) – che si riqualifica ocome materiale riciclabile o come biomassa – è un concetto verso cui tutti i paesi moderni tendono, da spingere e da armonizzare in chiave europea: si conta di poter riutilizzare più volte in sostanza una materia prima che essa venga trasformata in energia (leggi “incenerita” nei termovalorizzatori), in un circolo virtuoso di recupero, reimpiego e crescita sostenibile che generi risparmi per le imprese (600 miliardi di euro, l’8% del fatturato annuo), crei dei nuovi posti di lavoro (580 mila cosiddetti “green jobs”) e preservi l’ambiente riducendo dal 2 al 4% le emissioni dei gas serra.
Aumentare il riciclaggio attraverso soglie più alte di raccolta per ciascuna filiera e ridurre il ricorso alle discariche (dall’attuale 26% a un massimo del 10% entro il 2030, ma in molti paesi del Nord Europa le discariche sono già proibite e in Italia siamo al 31% con differenze regionali fortissime, dal 7% di Friuli e Lombardia all’84% della Sicilia!) rappresentano due dei pilastri portanti delle proposte legislative che ora passano al vaglio dei governi, degli attori interessati e quindi del Parlamento Europeo che è deputato a legiferare. Tempi previsti: un triennio circa per completare l’intero iter. Ma intanto come siamo messi in Italia sul fronte del riciclo dei rifiuti? Come si è chiuso l’anno e come stiamo a raccolta differenziata?
L’Italia che ricicla C’è da dire che, per una volta, la fotografia non appare impietosa. Anzi. Siamo messi abbastanza bene in un’Europa a sua volta assai “differenziata”, che presenta tassi di riciclaggio che vanno dal 5% all’80% a seconda delle zone, con una media che è del 40%. Al netto della piaga della illegalità (le infrazioni nel settore dei rifiuti sono aumentate da noi di un preoccupante 26%, denuncia Legambiente nel suo Ecomafie 2015) e seppure la forbice tra Nord e Centro-Sud si confermi un problema, con regioni arretratissime come Basilicata, Calabria, Puglia e Sicilia, “siamo però quelli che nel vecchio continente recuperano complessivamente più materiali riciclabili – fa notare Ermete Realacci, presidente della Commissione Ambiente della Camera – circa 25 milioni di tonnellate contro i 23 miloni della locomotiva Germania“.
Gran parte di questi rifiuti viene trattata negli impianti del Nord Italia. Il 3,4%, soprattutto acciaio, lo importiamo dai paesi europei (+ 60% negli ultimi 5 anni) e il 2% è la quota di export (+10%) spedita fino in Cina. Con un altro bel paradosso: che l’8% di questo su e giù di camion – come rivela uno studio di Marco Botteri, di Ecocerved – potrebbe essere intercettato trattandosi di un trasporto di rifiuti dello stesso tipo, con un notevole risparmio economico e taglio di emissioni in ambiente.
Per Realacci è il momento di fare anche molto di più sfruttando l’onda favorevole. “È il momento di cogliere l’allineamento astrale – dice l’esponente del governo – realizzatosi alla conferenza di Parigi sul clima, per anticipare i nuovi e ambiziosi obiettivi del pacchetto Juncker, che alzando le percentuali di riciclo (da raggiungere nel 2025 e nel 2030, ndr.) aumentano il risparmio di energia necessaria alla produzione e riducono le emissioni di Co2 promuovendo la green economy”.
L’industria del riciclo intanto continua a crescere, trainata soprattutto dai settori imballaggi, apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee) e frazione organica. I dati più freschi sono quelli relativi al 2014. Si legge infatti nel sesto Rapporto “L’Italia del Riciclo 2015” – presentato a Roma in dicembre dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile e da Fise-Unire, l’unione nazionale delle imprese di recupero – che nel 2014 il 66% degli imballaggi è stato avviato al riciclo (+2% annuo). Cresce del 3% la raccolta di Raee, con una quota pro-capite nazionale di poco inferiore alla soglia di 4 kg fissata come target a fine 2015 (ma che nei prossimi tre anni dovà essere triplicata) e sale del 9,5% la quantità di frazione organica.
I nodi critici Qui è però il caso di aprire un’ampia parentesi perché c’è un grosso punto interrogativo. Nei nuovi obiettivi europei, infatti, non è resa obbligatoria la cernita di umido e verde e non si capisce così come si possa salire, dall’attuale 40% di raccolta differenziata complessiva dei rifiuti urbani in Europa, al 65% entro il 2030, passando per un intermedio 60% entro il 2025. “Servirebbe un miracolo – lamenta l’associazione dei compostatori – se pensiamo che in Sicilia non funziona un solo impianto di trattamento…”.
L’obiettivo “più sfidante” – come lo definisce Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile – è comunque nel sottore della plastica dove il riciclaggio non tiene il passo con la produzione: in Europa meno del 25% della plastica raccolta viene poi riciclata, a fronte di un 50% smaltito in discarica. La Ue ha annunciato una strategia specifica per questo comparto.
Tornando al nostro paese, le punte di eccellenza nel tasso di riciclo si trovano nella carta (80%), acciaio (74%), alluminio (74%) e vetro (70%), mentre il legno (+10%) è quello che relativamente avanza di più. “Sia pure in modo non omogeneo – chiosa il professor Ronchi – il sistema del riciclo dei rifiuti in Italia è ormai decollato con numeri di livello europeo. Ora, però, con le modifiche proposte dalla Commissione a tutte le direttive sui rifiuti, sarà necessario recuperare anche le zone ancora arretrate”.