Ambiente

Cos’è il piano di contenimento dei cinghiali

Quindi, se domani mi viene voglia di ragù di cinghiale scendo in strada, imbraccio un fucile e vado a caccia nel parchetto sotto casa? È la domanda che un po’ tutti, più o meno scherzosamente, ci siamo posti almeno una volta da inizio anno, dopo che nella legge di Bilancio 2023 sono state introdotte norme che prevedono il varo di un “piano straordinario per il contenimento della fauna selvatica” anche in ”aree urbane”, con la partecipazione dei cacciatori. 

Intuiamo il perché di questa decisione. Da più di un anno, ormai, social media, web e tv ci mostrano famiglie di cinghiali che pascolano placidi nelle periferie – e non solo – di moltissime città, capitale in testa, attraversano strade e autostrade, mettendo a rischio la sicurezza delle persone e degli automobilisti, razzolano tra i cassonetti della spazzatura alla ricerca di cibo: non meraviglia dunque l’allarme collettivo. Eppure, l’emergenza non è nata ieri. 

Secondo i dati dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, gli esemplari in circolazione sono praticamente raddoppiati dal 2010 al 2020, e oggi si stima ci siano in Italia più di un milione e mezzo di cinghiali. «A preoccupare sono soprattutto i danni all’agricoltura, che sono arrivati a più di 17 milioni di euro quest’anno, un dato tra l’altro sottostimato», spiega Piero Genovesi, responsabile del Servizio per il coordinamento della fauna selvatica dell’Istituto. 

Di qui l’idea di un piano straordinario che dovrebbe rimediare al problema. Come? Consentendo da una parte a Regioni e Province autonome di provvedere al “controllo” delle specie selvatiche anche nelle zone vietate alla caccia, anche nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto; dall’altra di attuare, se la situazione lo richiede, veri e propri piani di contenimento numerico degli esemplari “mediante abbattimento o cattura”. A regolare il tutto ci sarà un piano straordinario nazionale, di 5 anni, che farà da schema quadro alle decisioni degli enti locali. Infine, novità assoluta, la legge prevede che gli enti si potranno rivolgere a cacciatori del luogo, a patto che abbiano seguito corsi di formazione ad hoc. Gli animali abbattuti? Si potranno mangiare, previo controllo delle Asl. 

Il piano dovrà essere varato entro il 1° maggio dal ministero dell’Ambiente  di concerto con quello dell’Agricoltura, ma il timore di molti, ambientalisti in testa, è che questa legge dia il via a una  caccia selvaggia  “legalizzata”, persino in città. 

La cattura del ragù Cosa dobbiamo aspettarci in concreto, in parte lo anticipa Genovesi. «Non c’è da allarmarsi, le modifiche alla legge non danno il via alla caccia in città», chiarisce subito l’esperto. «È vero che la norma introduce questa possibilità dal 1° gennaio per tutte le Regioni, ma in realtà chiarisce una prassi già consolidata, dove le operazioni di controllo e abbattimento vengono coordinate dagli enti pubblici. Attività di rimozione di cinghiali già si praticano: città come Roma, Genova o Trieste sono solo alcuni esempi. Normalmente, però, si interviene con la cattura, e posso affermare con ragionevole certezza che questo non cambierà. Anche se la norma prevede esplicitamente l’intervento di cacciatori, non ci sarà per loro alcuna possibilità di entrare in città e sparare. E delle catture si occuperanno come oggi guardie provinciali, forestali, veterinari, che anestetizzeranno gli animali e li porteranno via per abbatterli nei luoghi deputati», assicura l’esperto.

Scongiurato il pericolo di battute di caccia nei parchetti delle periferie, resta il tema delle aree protette. Il testo parla chiaro: se le Regioni lo prevederanno, i cacciatori potranno intervenire ovunque, incluse le aree sotto tutela, anche se con il coordinamento degli enti locali.  Il piano straordinario nazionale, che detterà nella sostanza le linee guida, avrà lo scopo di fissare i paletti affinché gli interventi si svolgano nel rispetto delle specie selvatiche e degli habitat naturali, ed è per questo che, prima della stesura definitiva, sul testo si dovrà esprimere l’Ispra. Si tratterà però di un parere non vincolante, anche se, ribatte Genovesi, sarà difficile non tenerne conto: «Raccomanderemo per esempio di agire con tecniche a basso impatto ambientale», aggiunge. 

Specie protette a rischio? C’è poi un ulteriore rischio legato alle nuove norme, secondo le associazioni ambientaliste. Per come è scritta la legge, i piani di controllo e abbattimento degli enti locali potranno essere adottati  per tutte le specie, persino quelle protette, senza dover dimostrare che la loro presenza crei danni all’agricoltura o all’uomo. Dopo i cinghiali potrebbe toccare ai lupi, per esempio, il cui ripopolamento sta diventando un problema per molti allevatori in diverse regioni. Per questo la Lav (Lega Anti Visezione), a gennaio, ha lanciato una call to action diretta alla Commissione europea, per chiedere di porre attenzione alle nuove norme. La risposta non si è fatta attendere, e a febbraio la Direzione generale Ambiente della Commissione ha scritto al governo italiano chiedendo di chiarire se la norma “anti-cinghiali”, è in linea con le direttive Habitat e Uccelli, che prevedono appunto la tutela di alcune specie protette. L’Italia ha quattro mesi di tempo per rispondere, e il piano dovrà tenere conto di rilievi, a meno di non voler incorrere in una procedura di infrazione.

Resta il fatto che le novità normative puntano sull’azione dei cacciatori come mezzo di controllo, metodologia che fino  a oggi si è rivelata totalmente inefficace. I dati dell’Ispra parlano chiaro: negli ultimi dieci anni sono stati abbattuti in media circa 300 mila cinghiali all’anno, e nonostante questo la loro popolazione è più che raddoppiata. «L’86% degli animali è stato abbattuto in caccia. La cattura e poi l’eliminazione degli esemplari in un altro luogo, vengono eseguite soprattutto nelle zone protette», spiega Genovesi. Perché la caccia non funziona? «Le attività si concentrano sui maschi adulti, i cosiddetti animali da trofeo, anziché sulle giovani femmine e sui piccoli. Inoltre non possiamo fingere di non sapere che i cacciatori hanno tutto l’interesse di tenere in circolazione l’animale, di non farlo scomparire. Se si vuole gestire meglio il cinghiale, occorre potenziare il controllo», chiosa l’esperto. Già, ma il ministero dell’Ambiente seguirà questo orientamento?

Tag: caccia, cinghiali

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