Rivoluzionario, il dossier l’A-bici della ciclabilità realizzato da Legambiente, Rete Mobilità Nuova e bikeitalia.it, perchè cerca di sfatare alcuni luoghi comuni a partire da quello indubbiamente più diffuso: cioè che per avere più ciclisti urbani servono più ciclabili.
Legambiente, dal suo sito, spiega il senso di questa affermazione. “Brescia è una delle città italiane con più chilometri di ciclabili e con più servizi, ha cicloparcheggi di scambio, bici a noleggio, una diffusa segnaletica per le due ruote. Eppure solo il 3% degli abitanti si muove quotidianamente a pedali. Ferrara, un’altra città padana altrettanto piatta e altrettanto ricca, ha infrastrutture e servizi analoghi, ma la quota di cittadini che si sposta in bici è nove volte più alta (il 27%) rispetto a quella del capoluogo lombardo. Pisa non ha nemmeno un terzo delle corsie protette per due ruote che ha Reggio Emilia eppure le percentuali di spostamenti a pedali in tutti e due i comuni sono a un buon livello (sopra il 15%). Ma mentre nel comune toscano i cittadini che si spostano con mezzi privati a motore sono poco più del 40%, ben due reggiani su tre scelgono l’auto o lo scooter per spostarsi”.
E allora? Come si fa a misura la “ciclabilità” di una città? Secondo le associazioni che hanno elaborato il rapporto, il miglior indicatore sulla qualità della mobilità è il modal share, ovvero lo stile di mobilità degli abitanti. Il mezzo usato per i percorsi quotidiani casa-scuola o casa-lavoro, infatti, spiega in maniera molto diretta se un’amministrazione locale ha lavorato bene per favorire gli spostamenti non motorizzati o con mezzi collettivi o se le scelte urbane finiscono per premiare l’auto e lo scooter.
Sempre rimanendo sui numeri raccolti da Legambiente, Rete Mobilità Nuova e bikeitalia.it si possono stilare due vere e proprie classifiche. La prima è quella relativa alla mobilità nuova, alle città che nel proprio territorio sono riuscite a fare in modo che gli spostamenti motorizzati individuali in auto, moto e scooter scendessero a un livello accettabile, inferiore o vicino a un terzo del totale. In questa particolare graduatoria ci sono Bolzano (la somma di spostamenti in auto e moto arriva al 30%) e molto distanziata Pisa, col 41% di spostamenti individuali motorizzati.
C’è poi la classifica relativa alla sola ciclabilità, a quell’insieme di città dove una quota significativa della domanda di mobilità è assorbita dalla bici. Ai primi posti troviamo di nuovo Bolzano, stavolta insieme a Pesaro e Ferrara (con il 27-28% di mobilità urbana soddisfatta dalle due ruote), seguita da Venezia-Mestre con il 20%. Altre sei città superano il 15% (Pordenone, Pavia, Pisa, Padova, Treviso, Reggio Emilia) e altre tre sono almeno sopra il 10% (Modena, Parma e Udine). Compresi tra il 5 e il 10% i valori di Trento, Siena, Cuneo, Firenze e Bologna, mentre in alcune grandi città (come Roma o Torino) le percentuali sono davvero basse (1 e 2%) e, pur in assenza di dati, non è difficile immaginare che altri grandi centri urbani come Napoli e Palermo non se la pedalino bene.
Pure il gruppo di virtuose, peraltro, presenta diversi nei. Pordenone avrà pure il 19% di spostamenti in bici, ma il 67% usa l’automobile e appena il 4% il trasporto pubblico. E un ragionamento analogo si potrebbe fare per Udine, Parma o Modena.
Comunque, secondo Legambiente, un paio di casi dimostrano che togliere di mezzo il traffico privato per fare strada a pedoni e ciclisti sia una formula efficacissima. Bilbao, ad esempio, ha rigenerato gli spazi urbani rendendo molto scomodo lo spostamento motorizzato (strade più strette, limiti di velocità severi, tariffe di parcheggio elevate) e ha visto subito salire tanta gente su tram, bus e anche biciclette, nonostante un territorio pieno di saliscendi. Lo stesso è successo in alcuni centri urbani ungheresi che, in soli sette anni, hanno visto crescere da zero fino al 20 per cento la quota di spostamenti in bicicletta. E’ il risultato di un lavoro di squadra governo-comuni: il primo ha sì investito in ciclabili e cicloposteggi, ma nel mentre i secondi hanno lavorato per rendere difficile l’accesso in macchina alle aree centrali, riducendo i parcheggi su strada e aumentando il prezzo della sosta. A Budapest, per dire, tra 2004 e 2011 l’uso dell’auto privata s’è più che dimezzato, passando dal 43 al 20%. Ma anche in Italia è successo lo stesso. Bolzano è l’unica città italiana dove meno di un terzo degli abitanti usa l’auto e c’è riuscita non stendendo chilometri e chilometri di asfalto ciclabile, ma riducendo i parcheggi di superficie, aumentando la sicurezza di chi si muove con le proprie gambe, ampliando le aree pedonali e facendo ricorso alle corsie protette per le bici in quei tratti di strada dove proprio era impossibile garantire una armonica convivenza tra i vari veicoli.