Le foreste, i boschi, gli alberi attorno a noi non stanno bene. E se non stanno bene gli alberi, anche noi staremo sempre peggio. Perché gli alberi, specie se sono tanti, puliscono l’aria e ci danno ossigeno, ci forniscono cibo, contrastano l’erosione del suolo e trattengono gli inquinanti. E in più, diciamolo, sono anche belli. Chi andrebbe a passeggio in un parco senza alberi?
Le piante costituiscono l’80% del cibo che mangiamo e producono il 98% dell’ossigeno che respiriamo. È per questo che la Fao ha lanciato il 2020 come Anno internazionale della salute delle piante: perché la salute delle piante è la nostra salute. E piantare alberi diventerà la parola d’ordine.
Un albero ha tanti modi per cadere: può cadere per far spazio all’allevamento intensivo di bovini, può cadere per incuria o per le ingiurie del tempo, o come è successo nel 2018 quando migliaia di splenididi abeti sono collassati gli uni sugli altri a causa della tempesta Vaia nelle valli tra Trentino e Veneto. Oppure un albero può cadere per farne cellulosa e può cadere perché è ammalato o perché è stato attaccato da parassiti o insetti.
Senza dimenticare che, soprattutto, nel mondo un albero può bruciare, per una combinazione di fattori: la volontà dell’uomo di deforestare, i cambiamenti climatici e altro. Così nel 2019, secondo i dati (ancora non definitivi) del Wwf, sono bruciati circa 12 milioni di ettari in Amazzonia, 27 mila ettari del Bacino del Congo, oltre 8 milioni nell’Artico, 328mila ettari tra foreste e altri habitat in Indonesia. A ciò si aggiungono i drammatici roghi in Australia, dove secondo stime ancora provvirosie sarebbero bruciati 6 milioni di ettari, pari al 21% delle foreste di quel paese.
Gli attacchi dei parassiti Altri problemi derivano dal fatto che ogni anno fino al 40% delle coltivazioni mondiali viene distrutto da malattie e parassiti, con conseguenti perdite commerciali di oltre 220 miliardi di dollari e milioni di persone ridotte alla fame, con gravissimi danni all’agricoltura. È quanto sta succedendo con l’invasione delle locuste nel Corno d’Africa: una migrazione, secondo le Nazioni Unite, che il mese scorso ha raggiunto la dimensione di 100-200 miliardi di esemplari, partita dallo Yemen e diffusasi poi nell’Africa orientale. La crisi riguarda ora Kenya, Somalia ed Etiopia, zone in cui ci sono 13 milioni di persone in una situazione di insicurezza alimentare acuta, di cui 10 milioni nei luoghi colpiti dalle locuste. «Gli attacchi di parassiti – spiega Diego Florian,direttore di Fsc Italia – sono una delle conseguenze del riscaldamento globale. Senza inverni lunghi e freddi i parassiti hanno la possibilità di prolungare il loro ciclo vitale e di attaccare gravemente le piante. È il caso delle cimici asiatiche, ad esempio, che danneggiano direttamente il fusto degli alberi per approvvigionarsi di acqua, o che nei pioppi bloccano o riducono la crescita degli anelli».
In effetti le foreste hanno un ruolo fondamentale nel combattere e nel minimizzare gli effetti dei cambiamenti climatici, anche se forse chi ha in mano le sorti del pianeta fa finta di non saperlo. «I processi di deforestazione e di degrado continuano a crescere – spiega il direttore di Fsc.
Lo scorso anno, nell’area amazzonica e australiana, il trend di deforestazione è stato accelerato dagli enormi incendi di cui abbiamo parlato. Ora serviranno anni per capire il peso effettivo di questi eventi catastrofici e quale sarà la perdita reale di ettari foresta.
La rivincita del bosco A questo quadro mondiale decisamente problematico fa da riscontro un altro segnale a prima vista positivo. Ogni anno le foreste nel vecchio continente crescono di una superficie di 9.500 chilometri quadrati, l’equivalente di 1 milione e duecentomila campi di calcio. E l’Italia, che all’inizio del secolo scorso era quasi denudata, è uno dei Paesi che ha visto e vede crescere di più (1 milione di ettari in 30 anni, 800 metri quadrati al minuto) la propria superficie forestale, che oggi copre il 36%. «Nel contesto europeo – conferma Florian – misuriamo un aumento significativo della superficie forestale. Questo aumento, tuttavia è per lo più legato ai fenomeni di abbandono dei territori rurali e montani che ora vengono progressivamente riconquistati da foreste e boschi. Nell’arco alpino è particolarmente visibile anche a occhio nudo: basta confrontare fotografie del primo doguerra, del secondo, degli anni ’70 e una odierna per notare un forte avanzamento del bosco. Questo avviene in altre aeree centroeuropee, però è molto più evidente nell’area mediterranea».
Prima di cantare vittoria però è necessario riflettere sul fatto che non sempre la riconquista di territori da parte del bosco è di per sé sinonimo di equilibrio, di naturalità ritrovata o di bene che vince sul male, per semplificare. «In alcuni contesti – prosegue Florian – si tratta comunque di territori antropizzati da secoli e che avevano quindi un loro equilibrio legato al presidio e all’utilizzo da parte dell’uomo». Strategico è il tema della proprietà delle foreste: in Italia, per oltre due terzi, privata. Per il Wwf bisognerebbe estendere i cosiddetti “usi civici” del patrimonio boschivo esistente in alcune realtà a più vasti territori. Così che le comunità possano intervenire anche dove i boschi frazionati tra mille proprietari sono in abbandono. Ad esempio, è frequente trovare boschi di solo abete rosso, la pianta simbolo delle nostre montagne, con cui erano fatti i violini di Stradivari. «La bassa variabilità di specie – spiega Florian – rende il bosco più vulnerabile ai grandi eventi meteorici, ad esempio come la tempesta Vaia, e anche agli attacchi patogeni: un conto è avere un bosco di soli abeti rossi che viene attaccato da un parassita defogliatore, un altro conto è avere una foresta più variegata in cui quel parassita trova meno pane per i suoi denti».
La minaccia dell’agrobusiness Ma qual è la più grande minaccia per le foreste? Non ci sono dubbi: l’agrobusiness. «Le cause di deforestazione – spiega il direttore di Fsc Italia – non sono il prelievo di legname per la costruzione di mobili o pavimenti, né per la produzione di carta, bensì l’espansione dell’agrobusiness, specie in America Latina». Ecco allora che – come consumatori – dovremmo certamente scegliere carne proveniente da allevamenti europei, così come la soya o altre tipologie di cereali, meglio se biologiche. «Per quanto riguarda altri consumi meglio orientarsi su prodotti certificati Fsc, ovvero prodotti che diano la garanzia che la foresta di origine è state gestita in maniera sostenibile, sia per garantire una produzione di lungo periodo, sia per tutelare i valori sociali e ambientale di quell’area», spiega ancora Florian.
In Italia si contano oltre 2.600 certificati aziendali di produzione per un totale superiore ai 3.100 unità produttive. «Che spaziano da chi produce una bobina di carta, o una scatolina di cartone, e poi risme, matite, penne, cucine, pavimenti, travi per l’edilizia, rotoli di viscosa per la moda, tappi in sughero». Da un’indagine Nielsen pubblicata nel 2017 è emerso che sono oltre 2.000 i prodotti nella GDO che riportano il logo FSC sul packaging.
Il verde urbano E poi c’è il bene che gli alberi fanno alle nostre città, un bene che non è solo estetico, ma anche sociale e sanitario. «Il verde in città – spiega Florian – abbatte la presenza di polveri sottili, riducendo le isole di calore. Per garantire vivibilità alle città bisogna tornare ad arricchirle di verde. Ovviamente ci vuole una volontà politica forte e forse si sta andando in questo senso: stanno prendendo piede campagne di piantumazione di alberi nei perimetri o dentro le città, così come la riscoperta e l’arricchimento dei parchi e giardini pubblici. Questo tipo di investimenti, purtroppo, ha effetti successivi alla durata di un mandato elettorale, per cui bisogna attendere almeno 15 o 20 anni per goderne, e garantire anche che in quei successivi 15 o 20 anni ci sia attenzione a mantenere l’impianto fatto perché soprattutto in un contesto urbano non è sufficiente mettere a dimora una piantina: va curata, va garantita, va protetta. E quindi serve un’unità di intenti e una pianificazione di lungo periodo».
«Va considerato – spiega anche Stefano Mancuso, neurobiologo vegetale – che le piante hanno una funzione sociale: è dimostrato che creano “comunità felici” perchè le persone soggiornano più volentieri nei luoghi dove sono presenti, con conseguenze positive sulle capacità cognitive e sullo stress». Mediamente, comunque, ogni italiano ha a disposizione circa 27 metri quadrati di aree verdi nelle città, superiori ai 9-11 metriquadrati indicati come soglia per una buona qualità di vita.
Nell’anno internazionale delle piante I principali obiettivi dell’Anno internazionale sono sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza delle piante sane, evidenziare gli effetti della salute delle piante sulla sicurezza alimentare e sulle funzioni degli ecosistemi di condividere le buone pratiche su come mantenere le piante in buona salute tutelando al tempo stesso l’ambiente. «Come per la salute umana o animale, prevenire è meglio che curare – ha sottolineato il direttoree della Fao, Qu Dongyu, tanto più che proteggere le piante da malattie e parassiti è molto più economico che affrontare le emergenze fitosanitarie». Insomma, il 2020 sarà un anno cruciale per decidere sul futuro delle foreste. «Speriamo che al riconoscimento del ruolo fondamentale delle foreste per il nostro futuro si accompagni un preciso percorso politico di strategia comune tra i vari paesi del mondo, perchè i cambiamenti climatici ci hanno insegnato che le politiche nazionali non bastano», conclude Florian.