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L’acqua, spia del cambiamento climatico

L’acqua non è il petrolio, cioè non si esaurisce: quella dolce è l’1% circa del totale, a disposizione dell’uomo dall’inizio della sua storia. Ciò che cambia, invece, è l’accesso, che è negato o difficoltoso per le popolazioni di ampie aree del pianeta: 2,1 miliardi di persone, per lo più in Asia, non hanno acqua sicura da bere, e la dissenteria e il tifo causano 1,5 milioni di morti ogni anno.
Cambia anche la distribuzione sulla Terra. Il riscaldamento globale farà aumentare la portata di alcuni fiumi e le precipitazioni a latitudini alte dell’emisfero Nord, mentre sarà ridotta ai Tropici e nelle aree semi-aride tra cui il bacino mediterraneo, gli Stati Uniti orientali e il Sudafrica.
L’Italia, che nel complesso è ricca di oro blu, ha peggiorato il suo rapporto con questo bene essenziale che le si sta ritorcendo contro come l’Idra, il velenoso mostro della mitologia classica. La siccità estiva record del 2022, seguita dalle alluvioni autunnali nelle Marche, nonché il dissesto idrogeologico di Ischia, hanno evidenziato drammaticamente l’entità dei danni che può provocare quando è “estrema“, cioè troppo poca o troppa. Il grande nemico oggi – accanto ad abusi, dispersione della rete idrica e inquinamento – è diventato il cambiamento climatico, il cui andamento suggerisce un cambio di passo. Un tema, “accelerating change”, messo al centro della Giornata mondiale dell’acqua, il 22 marzo, dall’Onu, che al tema dedicherà un importante convegno a New York.
“Le disfunzioni del ciclo dell’acqua minano infatti i progressi su tutte le principali questioni globali, dalla salute alla fame, dalla parità di genere all’occupazione, dall’istruzione all’industria, fino alla pace”, si legge sul sito www.worldwaterday.org. Il mondo si è impegnato a raggiungere l’Obiettivo di sviluppo sostenibile (SDG) 6 nel quadro dell’Agenda 2030, ripromettendosi entro il 2030 di fornire a tutti acqua e servizi igienici in modo sicuro, ma al momento siamo abbondantemente fuori strada. Si deve procedere più spediti andando oltre il “business as usual”. L’acqua è un tema che riguarda tutti, quindi è necessario che tutti agiscano. Le Nazioni Unite lanciano, a tale scopo, un form online da compilare per assumersi impegni quotidiani: piccole azioni da sommare tra loro, gocce che tutte insieme possono diventare un fiume.

Invasi e prelievi da ripensare L’acqua è una spia accesa sugli sconvolgimenti climatici che segnala l’urgenza di interventi di adattamento per nulla facili da realizzare. Che cosa sta succedendo attorno a noi? Accade che il riscaldamento sta accelerando il ciclo geologico e modificando la durata, l’intensità e la localizzazione dei fenomeni atmosferici, mettendo in crisi il sistema di raccolta – fiumi e invasi – così com’è stato costruito.
Insomma, dighe e acquedotti andrebbero non solo riparati, ma ammodernati e ripensati in funzione dei prelievi. Magari al traino dello sviluppo delle energie rinnovabili, in un intreccio ancora tutto da progettare. «Servono nuovi bacini di raccolta – suggerisce il professor Leonardo Becchetti, economista – da usare quando le batterie non sono più sufficienti. Ancora non esiste un piano per gli accumuli idrici di questo tipo, motivo per il quale avremo bisogno di un investimento molto forte in futuro, un’occasione buona per coniugare sostenibilità e sviluppo».
Ma ancora più a monte, l’acqua andrebbe gestita meglio – concordano gli esperti — in una visione integrata con il territorio, tale da rendercela nuovamente amica. Gli effetti, in caso contrario, sono sotto gli occhi di tutti. A bombe d’acqua e inondazioni si attribuiscono circa un terzo dei danni economici per motivi ambientali catastrofici (il 28% per la precisione, dati sul 2020 dell’Agenzia europea dell’ambiente), i cui effetti finiscono per pesare sulla produzione agricola stessa, stimata in calo dall’Istat per i guai del clima. E l’aumento dei prezzi non è estraneo a tutto ciò.

La siccità avanza L’acqua per uso civile rappresenta circa il 15% dei prelievi totali (il 25% è impiegata nell’industria e il 60% per l’agricoltura e l’allevamento di bestiame). La sua disponibilità si è, però, ridotta negli ultimi trent’anni (1991-2020) nel valore medio annuo di un sostanzioso 19% rispetto al trentennio 1922-1950, pur essendo l’Italia un paese “intriso d’acqua”, che viene trattenuta in larga parte dalle piante e custodita nel sottosuolo.
Un trend negativo che l’Ispra, l’lstituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, prevede continui per via della siccità e di un aumento dei prelievi per consumi civili, quantificando un calo della risorsa del 10% nel breve periodo – nel caso di un approccio aggressivo alla riduzione delle emissioni di gas serra – e nel lungo periodo del 40% (con punte del 90% per il Sud Italia), se la crescita delle emissioni climalteranti proseguirà ai ritmi attuali. Si parla già di “stress idrico”, in relazione alla domanda. Nella mappa del rischio di Fairtrade, è uno dei pochi indicatori “preoccupanti” di colore arancione. Ci premuriamo giustamente di chiudere i rubinetti del gas, ma faremmo bene a non trascurare quelli dell’acqua se vogliamo continuare ad averla corrente e a prezzi modici.
Secondo il World Resources Institute (Wri), oggi 36 paesi, uno su 5, sono ad alto stress idrico, cioè esposti alle crisi perché prelevano ogni anno oltre l’80% dell’acqua soprattutto nei campi, ma non solo. Nell’elenco, siamo al 52° posto con un alto punteggio (3,35 su 5), preceduti in Europa soltanto da Grecia e Spagna. I dati ci dicono ancora che il massiccio prelievo per l’agricoltura, l’industria, l’energia e l’uso domestico ci collocano al decimo posto al mondo dietro paesi di grandi dimensioni come India, Cina e Usa. E nemmeno la grande crisi del bacino del Po, mai così vuoto negli ultimi 70 anni, a cui manca all’appello il 40% dell’acqua, ha spinto a intervenire come si sarebbe dovuto fare sui comportamenti umani, rivedendo ad esempio le licenze di chi ha continuato a pescare acqua per l’irrigazione nei mesi estivi come se niente fosse.
Emerge, in altre parole, un’assenza di azioni politiche per recuperare i ritardi sullo sfruttamento dell’acqua, gli ecosistemi idrici a rischio e gli alti livelli d’inquinamento. Lo scrive nero su bianco il Rapporto 2022 dell’ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) alla voce Goal 6 “Acqua pulita e servizi igienico-sanitari”, uno dei pochi obiettivi dell’Agenda 2030 dati in peggioramento. E in cui si sottolineano le carenze della qualità e della gestione delle infrastrutture, con la questione delle perdite della rete idrica che viene definita “un’urgenza nazionale” (vedi articolo a pagina 14).

Sprechi e governance Che fare? Sono tante le cose che migliorerebbero la situazione. Ad esempio, utilizzare tecnologie di risparmio idrico in ambito industriale e civile e razionalizzare la gestione dell’irrigazione in campo agricolo, con l’uso di droni e sistemi di precisione. Tutte leve, queste, che potrebbero ridurre gli sprechi fino a oltre il 43%, stima uno studio commissionato dall’Europa anni fa. Il professor Becchetti conferma: «In un’ottica di economia circolare, il riuso dell’acqua per l’irrigazione sarebbe molto utile. E il cosiddetto “uso multiplo“ è una delle direzioni più importanti da seguire per un utilizzo efficiente dell’acqua». Oggi, per farsi un’idea, abbiamo necessità di acqua potabile (chiamata convenzionalmente blu) solo per il 13% dei fabbisogni domestici, non certo per l’acqua del water (grigia) e nemmeno per altri usi come la cura del giardino, dove basterebbe l’acqua piovana (verde).
Infine, c’è il tema della governance, che sarà fondamentale nei prossimi anni per la gestione del patrimonio acqua. È meglio pubblica o privata?
A 12 anni dal referendum “tradito”, con cui gli italiani si espressero a favore della gestione pubblica del servizio idrico, in Italia prevale invece il privato spesso partecipato dal pubblico e profit, tranne rari casi, come a Napoli. «Entrambe le soluzioni hanno dei limiti – spiega il professore –: il privato ha bisogno di un regolatore forte che imponga il controllo delle tariffe, e con il pubblico le cose non è detto che vadano meglio, se è pervaso da inefficienze e spinte clientelari». La terza via si sta sperimentando a Benevento dove si cerca di coinvolgere cittadini e associazioni nella gestione dell’acqua pubblica. E qui pare chiudersi il cerchio, dal momento che partecipazione e governo civico è proprio uno dei mantra che, come si è visto, risuonerà alla Giornata mondiale dell’acqua del 22 marzo: per aggiungere l’interesse di ciascuno agli impegni su larga scala di governi, imprese, organizzazioni e istituzioni, e fare passi avanti, finalmente, nel controllo dell’acqua.

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