E’ la parola più gettonata dell’era post-Covid ed è anche la chiave di volta delle nuove strategie della Commissione Ue. La parola è “resilienza”, che si accompagna a “sostenibilità” e significa affrontare gli shock del cambiamento senza esserne travolti.
Attorno a questi concetti ruota il “Green deal europeo”, cioè il piano di crescita verde del continente che si è posto l’obiettivo, entro il 2050, di diventare il primo al mondo a neutralità climatica, ovvero a impatto climatico zero.
Pilastri del “Green deal” sono le due nuove strategie – adottate il 20 maggio scorso – che si occupano l’una del recupero della biodiversità e l’altra della filiera del cibo, dal produttore al consumatore (in inglese “From farm to fork”, cioè dai campi alla tavola). Molte cose accomunano i due documenti, che ora saranno sottoposti a un’ampia consultazione pubblica (e, visti i temi, è dunque bene che i consumatori siano informati), a cominciare dall’idea di una crescita che parta dal basso, da una diversa concenzione e cura degli ecosistemi.
Complementari e interconnesse tra loro, le due strategie applicano i principi ecologici alla produzione di alimenti (agroecologia) e al recupero della qualità degli habitat. Gli obiettivi da qui al 2030 sono ambiziosi e di ampia portata (vedi la scheda sulla destra che li riassume), in attesa, nei prossimi anni, che diventino piani d’azione, a partire dalla rimodulazione della Pac e della Pcp, le politiche comunitarie agricola e della pesca in base alle quali vengono allocati e ripartiti molti soldi tra i paesi membri.
C’è bisogno – ammonisce l’Europa – di superare la pandemia e di prepararsi per le future crisi, «ora che è più chiaro di prima – come ha ricordato lo scrittore Michele Serra – che siamo in stretto rapporto con la biosfera, con le piante, gli animali, ecc.».
«La crisi del coronavirus ha evidenziato la nostra vulnerabilità e quanto sia importante ripristinare l’equilibrio tra attività umana e natura», dice Frans Timmermans. vicepresidente della Commissione e braccio destro di Ursula von der Leyen, che su questa svolta green ci ha messo la faccia.
Inversione di rotta sulla terra Occorre dunque salvare l’uomo e l’ambiente in cui vive partendo dal suolo, da come lo si tratta e lo si coltiva. Circa il 28% delle emissioni di gas serra oggi viene dall’agricoltura e dalla zootecnia che sono dunque due settori di primaria importanza.
Ma in quale direzione conviene muoverci? In sostanza va invertita la rotta – ci dice la Ue –, cioè va arrestata la perdita di biodiversità nel vecchio Continente che vuole diventare un faro per l’intero pianeta, interessato da aree ben peggiori di crisi, tra deforestazioni e perdita progressiva di ecosistemi.
Assieme al recupero del paesaggio naturale, ecco allora spuntare dal cilindro – in attesa della prossima strategia climatica, che sarà il vero cuore pulsante del “Green Deal” – il progetto di trasformazione del nostro stesso sistema di produzione agroalimentare, in un’ottica integrata e sistemica.
Lo si vuole rendere più sostenibile e resiliente, garantendo gli approvvigionamenti di cibo “a prezzi accessibili a tutti” e studiando un meccanismo di risposta alle crisi alimentari che coinvolga tutti gli stati membri. Quello dei prezzi è un tema scottante, un lato forse debole del progetto, a meno che non si precisi che cosa si intende per “economicamente accesibile a tutti”.«Il che non può voler dire a prezzi ancora più bassi – obietta un esperto, il professor Roberto Della Casa – perché ciò non sarebbe possibile almeno stando alle condizioni attuali».
Ma la partita in gioco è grossissima e lo scoglio dei prezzi può essere aggirato con una diversa e più consapevole cultura del valore del cibo. «Quello europeo sarà il primo sistema agroalimentare a standard globale di sostenibilità», sottolinea Renata Pascarelli, di Coop Italia. Agricoltori, pescatori e acquacoltori avranno un ruolo cruciale per raddrizzare il pianeta, ma anche i consumatori che sono chiamati a fare scelte alimentari sane e sostenibili e l’industria a proporle. Siamo tutti pronti a questa transizione verde? Le scadenze, come già per l’accordo di Parigi sul clima, di cinque anni fa, ora ci sono. Mancano le tappe di avvicinamento e mappe più precise.
Obiettivi strategici Ma veniamo agli obiettivi. I principali contenuti della strategia sulla biodiversità riguardano l’aumento delle aree protette e il ripristino degli ecosistemi: da qui a dieci anni il 30% delle aree dovranno essere protette, con almeno il 30% di recupero delle specie animali e vegetali attualmente in declino (con l’inversione tra l’altro del trend di scomparsa degli insetti impollinatori) e altri target di impatto sull’ecosistema. Tra questi spiccano la piantumazione di 3 miliardi di alberi, il che equivale al raddoppio dell’attuale copertura verde, accanto al ripristino di aree alluvionali e zone umide lungo 25mila km di corsi d’acqua.
Sul 10% almeno dei terreni dovranno ricomparire siepi e colture floreali scomparse da tempo e c’è uno stop anche per le specie esotiche più invasive. È, insomma, la grande rivincita di habitat a cui non siamo più abituati e per il recupero dei quali saranno sbloccati cospicui finanziamenti. Si parla di 20 miliardi di euro all’anno da destinare al raggiungimento dei vari obiettivi di biodiversità.
Sfida sui trattamenti Di maggiore impatto sul sistema economico-produttivo è l’altra strategia, quella sulla filiera del cibo che arriva a fissare il 25% almeno delle aree agricole da destinare al biologico in Europa, triplicando dunque le superfici entro il 2030. L’Italia è già a una quota del 15,5%: siamo infatti i maggiori produttori ed esportatori europei. Più difficile, per noi, sarà centrare la riduzione del 50% dell’uso dei pesticidi e del 20% dei fertilizzanti.
«Queste ultime sono percentuali molto elevate e ambiziose – spiega Renata Pascarelli –. Noi di Coop lavoriamo con i migliori fornitori sul mercato per cui riusciamo a selezionare i più performanti, ma l’Europa prevede che tutti debbano raggiungere questi risultati, fino all’ ultimo degli agricoltori e degli allevatori». Anche per il professor Della Casa questo è il più complicato dei traguardi per un paese come il nostro, con caratteristiche territoriali diverse da tutti gli altri.
Per quanto si riferisce infine alla sostenibilità della filiera alimentare, la Commissione abbozza, almeno per ora, la transizione, rimandando a fine 2023 per obiettivi più strutturati e per specifiche indicazioni normative. Gli effetti di tale impianto saranno comunque assai impattanti per la bilancia commerciale dei paesi dell’Unione, impegnati non a caso in una lotta politica e tra lobby aspra e serrata che ci tocca da vicino. Uno degli snodi più delicati è come realizzare la prevista “migliore etichettatura nurtizionale”. L’etichettatura diventerà obbligatoria, infatti, entro due anni e armonizzata tra tutti i paesi, oggi schierati su fronti contrapposti . Dovrà essere messa sulla parte anteriore degli imballaggi per chiarire la composizione degli alimenti e l’impronta che ha sulla salute, ma su come sarà sono in corso grandi discussioni: sarà alla francese, a semaforo, o all’italiana, a batteria?