Ambiente

il pianeta è a rischio: e la colpa è dell’uomo

riscaldamento_globo.jpgLa scala della certezza scientifica, quando si parla di analisi sul surriscaldamento del clima che avvolge il pianeta, è salita dal 90% di sei anni fa al 95% di oggi. Ben oltre ogni ragionevole dubbio, si direbbe in un’aula di tribunale. Da “molto probabile” a “estremamente probabile” scrivono gli scienziati di tutto il mondo per fugare ogni ombra di dubbio sui mutamenti climatici in atto.
Tra questi dubbi il più ricorrente e malizioso (alimentato da eco-scettici e negazionisti) è che l’uomo non sia colpevole del surriscaldamento globale, ma che ci troviamo in fondo in un’era interglaciale e la Natura stia facendo il suo corso.
Giunge a conclusioni diametralmente opposte il massimo organismo chiamato ad esprimersi sul global warming, l’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change), un gruppo intergovernativo dell’Onu composto da 800 scienziati di 39 paesi diversi che hanno raccolto e revisionato anni di studi scientifici proiettandoli negli scenari futuri. Nel suo ultimo report, il quinto l’Ipcc disegna un quadro drammatico confermando che sono le attività antropiche a provocare il riscaldamento globale. E alzando, come si diceva, la soglia della evidenza scientifica sulla base dei modelli previsionali, cresciuti dai 2 del 1990 (con risoluzione di 500 km di lato) agli attuali 45 (con risoluzione scesa a 50 km) e fondati su una maggiore caratterizzazione regionale.

Secoli di effetto serra “Gli effetti delle nostre passate, presenti e future emissioni di ossido di carbonio dureranno per diversi secoli, anche se le emissioni dovessero interrompersi ora” ha dichiarato il co-presidente della comunità scientifica, Thomas Stocker. Abbiamo dunque superato il punto di non ritorno e il problema, come sottolinea il professor Antonio Navarra, presidente del Centro Euro-Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici, non è stare a discuterne ma “mitigare gli effetti dei trend accumulati e studiare le migliori strategie di adattamento dell’umanità”.
Secondo il rapporto c’è il rischio concreto che la temperatura media della Terra si elevi ancora fino a 4,8 gradi centigradi entro la fine del secolo, causando l’innalzamento delle acque dei mari tra i 26 e gli 82 centimetri, più di quanto non fosse previsto nel precedente rapporto, che è del 2007, in cui il range era compreso tra i 18 e i 59 centimetri.
La prima decade degli anni Duemila è stata la più calda mai registrata, sebbene il ritmo di crescita si sia molto rallentato, il che ha fatto rialzare la testa agli eco-scettici che hanno rilanciato le accuse di catastrofismo ed espresso critiche alle passate previsioni dell’Ipcc. “Ma – obietta Greenpeace – in realtà si tratta di una frenata delle temperature che non può mettere in discussione i trend di surriscaldamento di lungo periodo che sono certi, mentre nel breve periodo, 15 anni ad esempio, essi possono variare significativamente. Circa la metà del rallentamento registrato dal 1998 può essere attribuito all’assorbimento degli oceani, che continuano ad accumulare energia; un’altra metà al ciclo solare e a una serie di eruzioni vulcaniche”.
Per ridurre gli impatti dovremmo – sempre secondo il rapporto di valutazione dell’Ipcc – comunque contenere l’aumento delle temperature medie sotto i 2 °C entro il 2100. È tassativo, in altre parole, che si realizzi il migliore dei quattro scenari di inquinamento fossile immaginati, un obiettivo tutt’altro che facile però. Per fare ciò, infatti, la crescita delle emissioni di CO² (che procede al ritmo del 3,2% annuo) dovrebbe arrestarsi entro il 2020 e da lì in poi cominciare una parabola discendente fino al completo azzeramento nel 2070 dei rilasci in atmosfera.
Viceversa seguendo la traiettoria peggiore, la cosiddetta “business as usual” (quasi 5 gradi in più di surriscaldamento), l’innalzamento dei mari crescerebbe di due terzi rispetto allo scenario più favorevole (per la pianura padana ciò significherebbe la sommersione), l’acidità delle acque schizzerebbe in alto (il ph è già sceso dello 0,1 dall’inizio dell’età industriale, mai successo nella storia della terra) e la perdita del permafrost (i ghiacciai perenni) risulterebbe doppia con effetti a quel punto incontrollabili.

Rivoluzione energetica Di positivo nel rapporto c’è la rivoluzione energetica: il fotovoltaico è decuplicato rispetto al 2007, l’eolico triplicato. Siamo tuttavia al paradosso che mentre le fonti fossili dovrebbero rimanere nel sottosuolo, è cominciata l’epoca d’oro del fracking…
“Non c’è più dibattito, la scienza ha detto che siamo al punto di non ritorno”, incalza Legambiente, che spulciando dal rapporto Ipcc cita il “forcing radiativo”, un altro modo per misurare i gas serra non attraverso la quantità di carbonio presente in atmosfera ma analizzando l’energia extra che si scarica ogni secondo su ogni metro quadrato del pianeta: se nel 2007 tale scarica energetica era stimata in 1,6 W/m², ora siamo a 2,29 W/m², oltre il quadruplo dei valori che si avevano nel 1950.
Al forcing contribuiscono ossido di carbonio, metano e protossido di azoto, ma anche i clorofluorocarburi e gli aerosol, in particolare il black carbon, il particolato di carbonio tristemente noto per l’inquinamento urbano: il suo impatto è assai maggiore di quanto si pensasse oltre che sulla salute dei nostri polmoni (lo smog è tra le sostanze più cancerogene al mondo, ha dichiarato ufficialmente l’Iarc, l’agenzia sul cancro dell’Organizzazione mondiale della sanità), anche sulla schermatura dei raggi del sole e, quindi, sull’effetto serra. A cominciare dalle regioni artiche, dove l’accumulo di black carbon funge da acceleratore dello scioglimento dei ghiacciai.

 

 

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