“Basterebbe mangiare solo 2 porzioni di carne a settimana, per diminuire le emissioni di gas serra del 30%». Ad affermarlo è il professor Riccardo Valentini, membro del gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici Ipcc, con cui ha vinto il Nobel per la pace. E lo afferma per ribadire la strettissima correlazione tra nutrizione e ambiente: le nostre scelte alimentari hanno a che vedere non solo con la nostra salute ma anche con la salute del pianeta.
Se è così, professor Valentini, le nostre scelte influiscono sulla tenuta della biodiversità? Certamente, quello che mangiamo ha un forte impatto sul pianeta e determina il nostro futuro. E non solo ciò che mangiamo tra le mura di casa. Anche nelle mense aziendali o in quelle scolastiche. Perciò sto partecipando a un progetto europeo, SU-Eatable Life, che intende dimostrare che è possibile ridurre le emissioni di gas serra e l’impronta idrica relative al consumo di cibo, aumentando la consapevolezza dei cittadini. Il progetto si propone in particolare di sensibilizzare gli chef delle mense, rispetto a questo obiettivo. I consumatori hanno un ruolo importante: abbiamo visto che se le persone cominciano a modificare le loro scelte d’acquisto, le aziende cambiano. E’ quello che è successo con l’agricoltura biologica. Speriamo che la stessa cosa accada anche nei confronti della politica italiana, che deve assolutamente cominciare a porsi il problema del riscaldamento globale e dei cambiamenti che saremo costretti ad affrontare.
Dunque, professore, se anche ciascuno di noi può fare la differenza cosa dovremmo mangiare? O meglio, cosa non mangiare? Rispondo sinteticamente: ciò che fa male alla salute fa male anche all’ambiente che ci circonda. Perciò riduciamo la carne, quella rossa in particolare: limitiamoci a due porzioni alla settimana, faremo del bene a noi e all’ambiente. No alla plastica: cerchiamo cibo senza imballaggi di plastica e, soprattutto, basta all’acqua in bottiglia di plastica! Qualla che esce dal rubinetto è mediamente buona. Poi, è quasi banale dirlo, il cibo deve essere il più possibile stagionale e locale, perché più viene da lontano e più costa, dal punto di vista della sostenibilità. Dobbiamo renderci conto che attraverso il cibo passa il futuro dell’umanità. Mangiare in un certo modo può ridurre la deforestazione del pianeta. Ridurre la deforestazione significa incidere positivamente sul riscaldamento globale e sulla biodiversità. Poi dobbiamo assolutamente impegnarci a non sprecare cibo, perché produrre cibo significa consumare risorse, consumare terra. In che senso? È molto semplice: la quantità di cibo che buttiamo in un anno nel mondo corrisponde a tutto quello che viene coltivato nello stesso periodo in un’area grande come gli Stati Uniti d’America, più il Centro America, più la Colombia, il Venezuela e il Perù.
Ma in Italia qual è la situazione? Come paese, abbiamo una biodiversità intrinseca, anche da un punto di vista delle specie alimentari. È una delle più elevate a livello europeo e globale, se escludiamo le zone tropicali. Tra l’altro il patrimonio del paese è andato aumentando in questi ultimi anni, per il recupero di cibi tradizionali dimenticati e anche di nuove cultivar. Il vero problema è come difendere, come supportare le aziende agricole che producono sostenendo la biodiversità…
Però sono sono sotto gli occhi di tutti, anche di chi vive in città, gli effetti del riscaldamento globale e in particolare della siccità… Anche per affrontare il grave problema del clima aiuterebbe la riscoperta di antiche cultivar resistenti alla siccità. In sintesi, maggiore biodiversità ci permetterebbe di affrontare la mancanza di acqua. Anche perchè alcune coltivazioni potrebbero non trovare più le stesse condizioni per essere praticate, negli anni a venire, come il radicchio del Veneto, o il riso. Interi sistemi agricoli e anche sociali ed economici potrebbero scomparire. Per intenderci: quando i nostri olivicoltori sono scesi in piazza per chiedere attenzione sul fatto che il raccolto di olive nello scorso anno ha subito un calo nella produzione di circa il 50% e non è accaduto nulla. Non sono stati presi minimanente in considerazione dalla politica! Non si è ancora capito che la questione del clima è un problema di adattamento da affrontare al più presto. Dobbiamo trovare il modo di resistere all’innalzamento della temperatura. Anche dal punto di vista della biodiversità alimentare. In Italia abbiamo una agricoltura di qualità e su piccoli appezzamenti, non mais e soia in coltivazioni intensive; se non troviamo soluzioni tecnologiche e non lo facciamo subito, scompariranno moltissimi presidi alimentari. E saranno guai.