Ambiente

“Il clima sta cambiando. E noi dovremo adattarci”

NAVARRA.jpgQuindici esperti e scienziati in rappresentanza di sette centri di ricerca del nostro paese. Questo il significativo apporto dell’Italia al Quinto Rapporto di Valutazione sul clima dell’Ipcc. Del pool hanno fatto parte anche cinque esperti del Centro Euro-Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici (CMCC). Al suo presidente, il professor Antonio Navarra – docente di Scienza e Gestione dei Cambiamenti Climatici alla Ca’ Foscari di Venezia – chiediamo quali siano a suo giudizio le novità più importanti del rapporto.
Capisco che dal punto di vista comunicativo non sia efficace, ma il risultato più importante di questo rapporto, al di là della  probabilità che ora viene definita “estrema”, oserei dire certa, degli effetti dei comportamenti antropici sul clima, è che in realtà le novità siano pochissime. Questo testimonia della robustezza e della coerenza delle ricerche finora svolte dal gruppo 1 dell’Ipcc. Altra cosa importante è che vi è la conferma dell’utilizzo dei modelli fisici di circolazione generale cui anche noi italiani, che costituiamo uno dei nodi del database mondiale, contribuiamo. Più interessante, fra qualche mese, sarà leggere i risultati del gruppo 3, quello che si occupa degli impatti economici. Lì ci sono maggiori incertezze e c’è bisogno ancora di parecchia ricerca.

Gli eco-scettici sottolineano presunti errori nelle previsioni del passato, come l’eccessiva velocità dello scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya, e ricordano il Climatgate ovvero l’intercettazione di email poco trasparenti dei ricercatori. Esiste un problema di attendibilità dei risultati? 
Un problema di credibilità non esiste proprio. O si hanno sufficienti elementi per trarre delle conclusioni, o non si traggono. Il rapporto si basa sulla letteratura scientifica e su un processo di numerose e continue revisioni. L’affermazione sui ghiacciai dell’Himalaya non era correttamente supportata, quello fu l’errore, mentre il cosiddetto Climatgate si è rivelato essere una bolla d’aria. La verità statisticamente dimostrata e nota a noi addetti ai lavori è piuttosto che meno si è specialisti e più si è scettici in questo campo. 

Cosa indica il rallentamento della crescita delle temperature verificatosi negli ultimi anni?
Non deve sorprenderci, ci sono stati altri periodi di oscillazione nell’ultimo secolo simili a questo. I cambiamenti naturali del clima sono sovrapponibili a quelli indotti dall’uomo ma dobbiamo  cercare di non confondere i due piani.

L’innalzamento dei mari procede a un ritmo preoccupante, superiore alle attese… 
Direi piuttosto che i modelli sono molto migliorati dal precedente rapporto del 2007. Sugli oceani ne sappiamo dunque molto di più. E sappiamo che esistono variazioni locali molto forti, per cui se la crescita media dei mari è di tre millimetri all’anno, ed è così anche per il Mediterraneo, in alcuni posti anche del nostro paese il livello delle acque cala. Da qui l’importanza sempre maggiore che avranno le politiche locali di adattamento.

Quali sono le priorità che lei suggerirebbe all’agenda della politica?
Visto che non abbiamo al momento tecnologie avanzate per sottrarre anidride carbonica all’atmosfera, il problema è come prepararci al cambiamento. Che di per sé non è positivo o negativo, si badi bene. Per i paesi in possesso di adeguate conoscenze e tecnologie può anche tradursi in nuove opportunità. I punti all’ordine del giorno dei prossimi negoziati sul clima sostanzialmente ruoteranno attorno a questi due problemi: la mitigazione degli effetti accumulati e le strategie di adattamento per ridurre i guai in futuro.

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