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Ambiente

Da Kyoto a Cancun: sul clima storia di tanti accordi ignorati

Dal protocollo di Kyoto al 20-20-20
Il clima e una storia di accordi ignorati

La storia della battaglia contro i gas serra è irta di fallimenti, mancati accordi, accordi sottoscritti ma non rispettati. A partire dal protocollo di Kyoto, adottato l’11 dicembre 1997: è uno strumento giuridico internazionale volto a combattere i cambiamenti climatici. Contiene gli impegni dei paesi industrializzati a ridurre le emissioni di alcuni gas responsabili del riscaldamento del pianeta.
La Comunità europea ha firmato il protocollo il 29 aprile 1998. Gli Stati Uniti (che sono il primo paese del mondo per emissioni di gas serra) non hanno ratificato l'accordo. Il protocollo di Kyoto concerne le emissioni di sei gas ad effetto serra: biossido di carbonio (CO2); metano (CH4); protossido di azoto (N2O); idrofluorocarburi (HFC); perfluorocarburi (PFC); esafluoro di zolfo (SF6).
L’impegno collettivo era quello di ridurre le loro emissioni di almeno il 5%, rispetto ai livelli del 1990, nel periodo 2008-2012. Nell’ambito dell’accordo, l’Italia ha sottoscritto un obiettivo di riduzione emissiva del -6,5%: tale obiettivo di riduzione è stato identificato sulla base delle indicazioni di Enti di ricerca nazionali. Secondo il Rapporto dell’Ispra del 2011 le emissioni nazionali totali dei sei gas serra espresse in CO2 equivalente, sono diminuite del 5,4% rispetto ai livelli del 1990. Un risultato forse dovuto più al calo di produttività del nostro paese che al rispetto degli impegni assunti attraverso l’adozione di misure strutturali. A dicembre 2008 l’Unione Europea ha approvato il pacchetto europeo “clima-energia”, conosciuto anche come strategia “20-20-20” in quanto prevede entro il 2020: il taglio delle emissioni di gas serra del 20%; la riduzione del consumo di energia del 20%; il 20% del consumo energetico totale europeo generato da fonti rinnovabili.
In questi anni si vanno ripetendo le COP (Conference of the Parties), rivolte alla definizione degli obiettivi per il periodo “post-Kyoto”, dal momento che il Protocollo di Kyoto termina alla fine di quest’anno: la Conferenza di Copenhagen (dicembre 2009) ha lasciato molta delusione, non riuscendo a raggiungere alcun accordo. Anche la Conferenza di Cancun (del dicembre 2010), non è riuscita ad organizzare un’azione coordinata tra gli Stati nazionali per il contrasto al cambiamento climatico, obiettivo che non è stato ottenuto neppure con la più recente Conferenza di Durban (nel dicembre 2011).

Con l’Artico che fonde, via alle trivellazioni
Nel 2008, per la prima volta nella storia moderna, si è naturalmente aperto tutto il passaggio a nord-ovest, e contestualmente anche il passaggio a nord-est, a settentrione della Russia. È questa una delle prove più inconfutabili dello scioglimento del pack artico che oggi ha una superficie del 60% inferiore a quella del 1981.
Secondo L'Intergovernmental Panel on Climate Change (Gruppo intergovernativo di esperti sul global warming, IPCC) se non verranno bloccate o fortemente diminuite le emissioni di gas serra, le ondate di calore che nel 2003 hanno provocato settantamila morti, diventeranno sempre più frequenti. Entro il 2050 le temperatura saranno almeno di tre gradi superiori ai massimi del secolo scorso. Ciò significa che le aree aride e semiaride in Africa si espanderanno del 5-8% e si perderà fino all’80% della foresta pluviale amazzonica. L’Italia è uno dei Paesi europei più minacciati per il semplice motivo che la penisola si estende nel mezzo del Mediterraneo, un’area che sarà duramente colpita da fenomeni di desertificazione e scarsità idrica. L’IPCC aveva stabilito già nel 2011 che il riscaldamento globale è da imputare in massima misura all'uomo e alle emissioni di CO2 nell'atmosfera.
Lo scioglimento dei ghiacci artici – ben lungi da indurre governi e aziende a una riflessione sul futuro del genere umano – ha al contrario scatenato una corsa alle risorse energetiche dell’area, prima protette dal ghiaccio artico. Secondo le stime dell’Us geological survey, agenzia governativa degli Stati uniti che studia il territorio USA e le sue risorse naturali il 13% delle riserve mondiali di petrolio e il 30% del gas non ancora scoperte si trovano nell’Artico. Gazprom ha già avviato la prima piattaforma petrolifera permanente nel Mare Artico.

  

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