Ambiente

Che tempo farà? Le previsioni del tempo alle prese con eventi estremi

Tromba_aria.jpgVeniamo da un luglio “indimenticabile”, il più caldo e secco degli ultimi due secoli. E sta per concludersi l’anno più torrido della storia dell’uomo. Abbiamo assistito, nel 2015, a quattro alluvioni in pochi mesi in Emilia Romagna, spazzata da violentissimi temporali con chicchi di grandine grandi quanto una mano. A regioni come la Liguria, la Sardegna e la Toscana costantemente messe in ginocchio dai nubifragi. Al Centro e Sud Italia investiti da supercelle e cicloni mediterranei (“medicanes”: mediterranean hurricanes) che hanno causato l’isolamento di interi paesi e quartieri di città, nella fragile Italia della cementificazione e del dissesto idrogeologico.

Da qui veniamo; e dove stiamo andando? Verso fenomeni climatici che saranno sempre più estremi e frequenti: dall’aumento delle “notti tropicali” (con temperatura minima sopra i 20 °C) in particolare in Calabria e Sardegna, alle ondate di calore con picchi di temperatura che – stando agli attuali scenari socio-economici e di utilizzo dei combustibili fossili – raggiungeranno fino a 7 gradi in Veneto entro il 2100, con precipitazioni più diradate nel tempo ma più intense e distruttive.

Questo dicono le proiezioni climatiche (che sono probabilistiche e possono essere estese sino a 100 anni, mentre le previsioni meteorologiche sono di tipo deterministico e tarate a una decina di giorni al massimo) sull’ultimo trentennio di questo secolo, fatte dal Cmcc (il Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici), che ha applicato le tecnologie di ultima generazione ai modelli climatici. E lo confermano molti altri studi sugli effetti del “climate change“.

L’adeguamento a tali cambiamenti riguarda il lungo periodo, e dunque i pianificatori del territorio o chi fa business. La capacità, invece, di metterci al riparo e non soccombere (resilienza) tocca da vicino tutti noi che dobbiamo imparare a convivere con questi fenomeni naturali.

E mentre a Parigi si negozia ai più alti livelli su una riduzione dei gas serra che possa allentare tali effetti, si impongono al più presto anche una serie di contromosse nella vita di tutti i giorni (come essere allertati in tempo e sapersi difendere) che passano da uno snodo fondamentale. Sempre più importante, sempre più decisivo: le previsioni meteo. Che se non soggiacciono alle ragioni dell’audience o del business, bensì al rigore scientifico e ai criteri di qualità, possono risultare un’arma vincente. Sempreché siano date con tempestività e recepite dalla popolazione.

Meteo-bufale, come non prenderle… Cominciamo allora col dire quanto sono affidabili e quali lo sono. Per farlo andrebbe sgombrato il campo dai falsi miti e bisognerebbe cominciare a sfrondare fra i tanti, troppi siti e social network che contrabbandano incertezze per verità assolute (meteo-bufale) o fanno addirittura del “meteo-terrorismo”. Più i fenomeni appaiono localizzati, infatti, intensi e di breve durata (flash floods), e meno in realtà sono predicibili. Questo è il dato di fondo da tenere sempre presente. Ad esplicitarlo è il direttore del servizio idro-meteo-clima di Arpa Emilia-Romagna, uno dei più accreditati d’Italia.

Ammette infatti Carlo Cacciamani: “Noi non siamo capaci di prevedere a 24 ore dove un evento temporalesco anche intenso si possa esattamente abbattere. Quindi possiamo fornire ai Comuni o ad altri decisori soltanto informazioni incerte circa la localizzazione spazio-temporale di tali fenomeni (esempio: probabilità dell’80% che si potranno verificare temporali su una data area, comunque più grande di un singolo comune) e loro devono prendere, invece, decisioni certe, come far evacuare o no una zona abitata”.

Questo è uno dei tasti più delicati di tutto il sistema previsionale, con ricadute facilmente intuibili anche di tipo legale e di protezione della popolazione civile, non solo di impatto sull’economia come spesso lamentano tour operator e albergatori. Il sistema di allertamento – che si compone di avvisi meteo e di avvisi di criticità idrogeologica (valutazione degli effetti sul territorio, come piene e frane) – sconta questa sorta di “buco nero” irrisolvibile. “Noi cerchiamo di fare previsioni con il massimo anticipo temporale – prosegue Cacciamani – ma le incertezze non possono essere riducibili a zero, perché l’atmosfera è un sistema fluido e caotico: tantissimo dipende dalle condizioni iniziali e dalle condizioni di stabilità verticale dell’atmosfera”.

E se queste cambiano in fretta… Si spinge ancora più in là nell’analisi un geofisico come Silvio Gualdi, docente di Dinamica del clima all’Università Ca’ Foscari di Venezia: “La crescita dell’incertezza dello stato iniziale fa sì che anche conoscendo bene le leggi che governano l’atmosfera, si esca dalla traiettoria di una previsione precisa a breve termine. E secondo alcuni, questo sarebbe un limite intrinseco, cioè non superabile delle previsioni meteo”.

Meteorologi allo sbaraglio A cosa assistiamo invece noi? A un proliferare di prodotti sul web e in televisione con tanto di icone e simboli grafici accattivanti, che semplificano le cose nascondendo la complessità dei problemi.

L’impressione è che si possa sapere dove passerà la tromba d’aria e quanti millimetri di pioggia cadranno in un determinato comune e magari a che ora. Ma non è così. E pochi sanno che, quasi sempre, quelle icone vengono generate automaticamente dai modelli matematici (nelle app soprattutto), senza l’intervento del meteorologo, generando oltre a un bel po’ di confusione, anche danni reali e concreti.

Dietro questa spettacolarizzazione ingannevole (dove le esagerazioni servono ad aumentare l’audience e i contatti) c’è il fatto che chiunque, oggi, può aprire un sito ed emettere previsioni meteo senza sottostare ad alcun controllo o principio deontologico. Non esiste infatti una certificazione della professione, come c’è negli Stati Uniti, e tantomeno un albo professionale.

Se a ciò aggiungiamo la scarsa verifica delle fonti da parte delle agenzie di stampa e la mancanza, negli italiani, di una solida cultura scientifica, ecco spiegato il bailamme che regna sotto il sole.

Resta, poi, il problema di come orientarsi tutti i giorni. Una risposta ce la fornisce sul suo sito il noto meteorologo Luca Mercalli che elenca una serie di istituti pubblici attendibili. Una previsione affidabile, oggi, non si spinge oltre i 3-5 giorni, scrive Mercalli. “Tuttavia i modelli matematici elaborano per gli addetti ai lavori informazioni fino a 10 giorni, ma con affidabilità non sufficiente alle necessità della vita quotidiana”. Nel dubbio, aggiungiamo noi, costruitevi la vostra “black list“, preferite le previsioni in forma descrittiva a quelle troppo banalizzate, e “credete” soprattutto a quelle sul bel tempo che presuppone una maggiore stabilità dovuta all’alta pressione. Gli effetti delle deboli perturbazioni sono anch’essi tra i più incerti, mentre se vi capita un meteo a due settimane su scala locale, beh, leggetelo come si fa con un oroscopo e poi cestinatelo.

“Early warning”, l’avviso che può salvarci Da una parte è vero che negli ultimi decenni la meteorologia ha fatto enormi progressi aiutata dalle nuove tecnologie (dati raccolti al suolo, immagini radar, potenza dei computer): pur mancando la precisione di dettaglio, nelle 24 ore la probabilità di prenderci arriva fino al 90%. D’altra parte le sfide come detto sono enormi. Prendiamo ad esempio gli “early warning”, le allerte rapide sui fenomeni violenti.

A Cuba, dove gli uragani sono di casa, affrontano la questione con “campagne di educazione della gente, un linguaggio chiaro, sistemi di allerta che usano tv e social network”. Il professor Josè Rubiera Torres, direttore dell’istituto di meteorologia, sa di avere meno di un’ora di tempo per avvisare la popolazione nel caso di fenomeni atmosferici a rapido sviluppo, 20 minuti se è in arrivo una tempesta tropicale! In Italia noi non abbiamo un sistema televisivo unico e il problema è amplificato dalla fragilità e dall’antropizzazione del nostro paese. “Il rischio – spiega Cacciamani – è dato dalla combinazione di pericolosità, vulnerabilità ed esposizione dei territori. È vero che cresce la pericolosità (l’hazard) per via del climatic change, ma da noi sono molto forti anche gli altri due fattori. Prima o poi dovremo limitare l’uso del territorio, la cementificazione, smettere di modificare il corso dei fiumi che poi la natura si riprende. Il problema non sta tanto nella contrapposizione tra climatic change e vulnerabilità dei territori, ma nel pericoloso mix tra questi due elementi”.

Il rischio mitigato e quello residuo Come possiamo difenderci ad esempio dalle temute alluvioni? L’attuale sistema di mitigazione del rischio idrogeologico e idraulico (che può essere letto come una forma di adattamento climatico) poggia su due pilastri. Il primo sono le azioni in tempo differito (programmazione, opere idrauliche, casse di espansione per tagliare le piene fluviali a monte delle città, arginature per alzare i fiumi e spingerli verso il mare, ecc.). Ma anche dopo aver costruito queste opere strutturali, rimarrebbe un rischio residuo da gestire in tempo reale con sistemi efficaci di allertamento. “Per il Po abbiamo 7-8 giorni di tempo per agire – fa notare Cacciamani – ma per i torrenti emiliano e romagnoli assolutamente no! Bisogna fare molto presto”.

A livello nazionale esiste dal 2004 una rete di “centri funzionali“. Sono strutture regionali a supporto della Protezione civile che svolgono azioni di prevenzione e protezione degli eventi. Ma mettere in sicurezza i territori è un processo assai complicato. La catena della protezione civile è lunga e complessa, e va dai modelli matematici, alla tecnologia impiegata, alla comunicazione che deve funzionare molto bene per arrivare, a valle, ai cittadini che devono essere educati ad avere una cultura del rischio che al momento non c’è da tutte le parti.

Facciamo un esempio. Quando l’Arpa dell’Emilia Romagna lancia con 24-36 ore di preannuncio un “early warning” su una delle 8 macro-aree costruite in base a omogeneità di vario tipo, i meteorologi non sanno, con quell’anticipo temporale, dove all’interno dell’area allarmata si verificherà un fenomeno intenso e su piccola scala.

Il bollettino viene comunque inoltrato alla (e non “dalla” come si dice comunemente) Protezione civile regionale e poi diramato, dalla Protezione civile, a Prefetture, Province, Comuni e ad altre strutture operative come il 118, nonché ai servizi tecnici di bacino e ai consorzi di bonifica. È il sindaco l’ultimo ma il più importante anello della catena cui spetta il compito di informare la popolazione con i mezzi che ritiene più idonei ed efficaci.

Ora questo sistema complesso è in fase di revisione almeno per quanto riguarda la comunicazione. Già alcuni sindaci hanno cominciato a telefonare o ad inviare sms alla gente, e le stesse Arpa si stanno attrezzando per usare, oltre al web, canali social certificati.
Bisogna avere infatti la certezza della fonte quando scatta un allarme rosso, ma occorre anche sveltire le procedure perché il mondo corre in fretta, e un tornado o un ciclone mediterraneo lo fanno ancora di più!

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