Da papa Francesco al presidente della Repubblica Mattarella, dalla legge che il parlamento francese ha approvato alle analoghe intenzioni per l’Italia annunciate dal ministro dell’agricoltura Martina. Fatto sta che la lotta allo spreco di cibo sembra davvero diventata una priorità. Se così fosse sarebbe proprio una bella notizia, oltre che per l’equilibrio del nostro pianeta e per chi beneficerà di questo cibo recuperato, anche per chi, come Coop, contro lo spreco lavora da diversi anni (dal 2003 esattamente) ed ha messo a punto un sistema che coinvolge tutte le cooperative e consente di recuperare e destinare a un uso sociale circa 4.000 tonnellate di alimenti che raggiungono e aiutano 150 mila persone.
E oltre al riutilizzo degli alimenti invenduti, Coop si è da tempo posta l’obiettivo di operare anche su altri fronti di intervento, più che mai decisivi per combattere lo spreco alimentare, primo fra tutti quello dell’educazione dei più giovani con specifici progetti rivolti alle scuole nell’ambito delle sue attività di educazione al consumo.
Ma nel parlare di lotta allo spreco ci sono diverse cose da sapere e spiegare, per conoscere il problema, aumentare la sensibilità delle famiglie e, soprattutto per capire come aggredirlo efficacemente. Le cifre dello spreco sono mostruose, enormi, ed hanno una dimensione mondiale. Nel nostro pianeta si parla di 1,3 miliardi di tonnellate di cibo buttato. La parte più consistente (secondo i dati Fao) si perde nella fase di produzione agricola (510 milioni di tonnellate pari al 32%), un altro 22% (355 milioni) si spreca nelle fasi successive alla raccolta e nello stoccaggio, un 11% (180 milioni) va perso durante la lavorazione industriale, un 22% (345 milioni) è lo spreco domestico più un 13% durante la distribuzione e nella ristorazione.
Il totale rappresenta circa un terzo della produzione mondiale di cibo e quando si è di fronte a un’umanità nella quale circa 850 milioni di persone soffrono la fame, combattere questo fenomeno è un imperativo etico prim’ancora che politico ed economico.
Ovviamente la composizione della torta dello spreco cambia se guardiamo ai paesi sviluppati o a quelli più poveri.
In Europa ad esempio, fatto 100 lo spreco alimentare, secondo uno studio della Commissione Europea, il 39% di questo avviene nella fase di coltivazione e produzione, un 14% nella ristorazione, solo un 5% nella vendita (dato che comprende la grande distribuzione). Ma la fetta più grande, e cioè il 42%, riguarda quel che si spreca nell’uso domestico, cioè dentro casa, per le cattive abitudini con cui facciamo la spesa, riempiamo il frigo e cuciniamo.
Queste cifre ci dicono alcune cose importanti, visto che nel parlare dei provvedimenti legislativi (vedi il caso Francia) si è posto l’accento sulle sanzioni verso i supermercati oltre i 400 metri di superficie che non attiveranno pratiche di recupero. Imporre comportamenti può anche essere utile, ma deve essere ben chiaro che ci si sta occupando di un aspetto che in Europa vale appena il 5% del problema, mentre tra produzione agricola e fase domestica valgono, messe insieme, l’80%.
Ovviamente il capitolo legato a interventi sulla produzione agricola è assai complesso, perché legato alle tecnologie di raccolta, alle modalità di trasporto, ai sistemi e alle strutture di stoccaggio e, inevitabilmente al problema dei costi che le imprese agricole dovrebbero sostenere per migliorare il rendimento di queste fasi. E questo ha un’incidenza decisamente superiore nei paesi più arretrati rispetto all’Europa o al nord America.
Poi ci sono gli altri capitoli a cominciare da quello sullo spreco domestico. Un capitolo che chiama in causa tutti noi che, per quanto bravi e attenti siamo, possiamo sicuramente migliorare nel gestire i nostri comportamenti e le nostre scelte d’acquisto.
In Europa il livello medio di spreco procapite è di 180 chilogrammi all’anno (includendo tutte le fasi). Ma è una media compresa tra i 579 chili, record di spreco dell’Olanda e i 44 della Grecia. Tra i più spreconi, dopo l’Olanda, troviamo il Belgio 339 kg, la Gran Bretagna 238 kg, la Svezia 227, l’Austria 225, la Finlandia 193. Sotto alla media europea stanno la Spagna a 176, l’Italia a 149, la Francia a 144, la Germania a126 la Danimarca a 118 e via sino alla citata Grecia.
Ma anche se siamo sotto alla media, con i nostri 149 chili di cibo buttato in un anno abbiamo ampio margine per migliorarci. Secondo gli studi del professor Andrea Segrè dell’Università di Bologna (con l’Osservatorio Waste Watchers), pioniere della battaglia su questi temi, lo spreco di cibo domestico è di 49 chilogrammi a testa e riguarda il 35% dei prodotti freschi (latte, uova e carne), il 19% del pane, il 16% delle verdure e il 10% degli affettati.
Va detto che secondo uno studio di Swg e Coldiretti (del 2011) in questi anni di crisi i comportamenti virtuosi degli italiani sono cresciuti e lo spreco si sarebbe ridotto di un 57%. È chiaro che in tutti i casi si tratta di stime che, pur fornendo tendenze sicuramente plausibili, vanno utilizzate con una qualche cautela.
Ma, chilo più chilo meno, resta il fatto che nei nostri comportamenti ci sono sicuramente alcune regole utili che sarebbe bene tener presenti: come acquistare senza eccedere nelle quantità, prepararsi con cura un elenco di ciò che serve, guardare le date di scadenza, conservare con cura e secondo le indicazioni ciò che si acquista. E magari fare un piccolo sforzo in più per finir di consumare qualcosa che si è cominciato. Cosa che, specie con i più giovani, funziona se si sa già cosa significa spreco alimentare.
E qui ritorniamo al tema dell’educazione, che deve essere sicuramente la base di ogni intervento. Rispettare il cibo, attribuirgli il giusto valore, in un senso culturale ancor prima che economico, come giustamente ha sottolineato il fondatore di Slow Food, Carlo Petrini, è un aspetto chiave, se si vuole vincere la battaglia. In questo senso ci sta anche l’idea del reato di spreco alimentare come nuova fattispecie da introdurre nei nostri codici.
Anche se è bene precisare che, Coop come ogni altro soggetto che da anni promuove attività concrete contro gli sprechi, spesso si trova a confrontarsi con normative igienico sanitarie complesse, che magari non sono omogenee tra le diverse Regioni e che non rendono possibile fare in una città ciò che è autorizzato in un’altra. Poi c’è il tema dei destinatari delle donazioni che sono quelle che giuridicamente si definiscono Onlus (Organizzazioni non lucrative di utilità sociale); ma può capitare, specie nei piccoli centri, di aver a che fare con gruppi, parrocchie o altro che non hanno questo requisito. Insomma, senza entrare in dettagli troppo tecnici, forse prima dell’idea di punire chi spreca, c’è da mettere in condizione tutti i soggetti interessati a questi temi di operare al meglio e, semmai, di premiare e incentivare. E sembra proprio questa l’intenzione del governo italiano il cui ministro dell’agricoltura Maurizio Martina ha detto: “Siamo pronti a semplificare le leggi per rendere le donazioni più convenienti per chi produce e distribuisce”, confermando l’intenzione del governo di presentare al più presto un provvedimento in materia. “Con quello che come Coop facciamo da anni – spiega il presidente di Ancc-Coop, Stefano Bassi – è come se, con la pratica virtuosa e volontaria, avessimo preceduto la legislazione che, dopo la Francia, anche il governo italiano ha annunciato di voler introdurre. Ci piace però, e speriamo le norme andranno in questo senso, insistere più sul versante dell’incentivo che una buona legislazione sul tema potrebbe offrire alle imprese, spronandole magari anche economicamente, piuttosto che sull’aspetto repressivo”.