In relazione a un articolo da noi pubblicato a firma del nostro collaboratore, il nutrizionista Michele Sculati, sul tema dell’utilizzo dell’olio di palma, abbiamo ricevuto questa lettera firmata dall’avvocato Giuseppe Allocca, presidente dell’Unione italiana olio di palma sostenibile (per i lettori l’Unione, come si legge sul sito internet www.oliodipalmasostenibile.it, “è stata costituita a fine ottobre 2015 da un gruppo di Aziende e Associazioni attive in vari settori merceologici nei quali viene utilizzato olio di palma, con l’obiettivo di essere un punto di raccordo utile a promuovere attivamente la cultura della sostenibilità di questo prodotto. Tra queste aziende sono Ferrero S.p.A., Unilever Italy Holdings S.r.l., Nestlé Italiana S.p.A, Unigrà S.r.l.):
Pubblichiamo qui integralmente la lettera ricevuta, seguita da una nota di commento.
Scrivo in qualità di Presidente dell’Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile, con riferimento all’articolo di Michele Sculati dal titolo: “Cosa cambia se non c’è l’olio di palma”, pubblicato sul sito dedicato ai consumatori di Coop, per richiamare la sua cortese attenzione su quanto segue.
Partiamo dalle premesse:
- Lo studio EFSA – che Michele Sculati cita in apertura del suo articolo – si riferisce ad alcuni contaminanti che possono formarsi nel processo di lavorazione di tutti gli oli e grassi raffinati in modo non adeguato;
- Nel testo si parla del “contenuto di sostanze nocive (genotossiche come il 3- e 2-monocloropropanediolo)”. In realtà, il citato parere EFSA riporta che il contaminante genotossico è il GE mentre il 3- MCPD risulta essere prevalentemente nefrotossico. Sul 2-MCPD, invece, non ci sono dati a riguardo.
- Si veda in proposito anche l’acclusa monografia sul 3-MONOCHLORO-1,2-PROPANEDIOL pubblicata sul sito dell’Internationa Agency for Reserch on Cancer (IARC).
- L’EFSA non ha chiesto e neppure ipotizzato il bando dell’olio di palma. Come ha dimostrato lo studio di Stiftung Warrentest, la più importante associazione di consumatori tedesca, un olio di palma trattato a basse temperature può essere migliore rispetto a un qualsiasi altro olio vegetale di scarsa qualità o trattato in modo non ottimale.
- Il problema dei contaminanti di processo va dunque gestito a livello di filiera produttiva, adottando buone pratiche durante le fasi di produzione e raccolta della materia prima e durante la fase di trasformazione industriale. Proprio per questo, nel parere, l’EFSA riconosce gli sforzi operati dall’industria alimentare, che ormai da tempo impiega olio di palma mitigato, cioè lavorato a temperature sotto i 200°C e perciò sostanzialmente sicuro.
- Nel testo si legge : “Si pensi che sostituire il 5% dell’energia della dieta proveniente da grassi saturi con grassi poli o mono-insaturi è associata ad una riduzione stimata della mortalità rispettivamente del 15% e del 27%”. Questa affermazione non referenziata è presa dallo studio di Zong pubblicato su British Medical Journal del 2016. Tuttavia la frase è stata riportata fuori contesto, risultando fuorviante e sbagliata: sostituendo il 5% dell’energia da saturi con polinsaturi non si riduce la mortalità ma il rischio di malattia e di mortalità. La frase riportata è l’elaborazione di uno studio di Jackobsen del 2009 pubblicato su American Journal of Clinical Nutrition dove si riporta chiaramente che la riduzione è relativa al rischio.
Sculati, prosegue poi affermando di aver calcolato la riduzione di grassi saturi in alcune importanti categorie di prodotto, usando i dati medi dei prodotti più venduti che l’associazione dei produttori ha pubblicato nel 2014, e raffrontandoli con i dati 2017.
Al di là del fatto che gli ultimi dati disponibili sono relativi al 2016, l’autore afferma che nelle merendine è stata riscontrata una diminuzione dell’8% di grassi saturi. In questo caso, si tratta di un dato da verificare in quanto, a differenza degli altri, non corrisponde ai dati rilasciati dall’associazione dei produttori.
In ogni caso, riteniamo che il confronto dei dati medi 2014 con quelli più recenti non consenta di rispondere correttamente alla domanda “Cosa cambia se non c’è l’olio di palma”.
I profili nutrizionali medi dei prodotti esaminati sono certamente migliorati durante il periodo osservato (2014-2017): l’industria dolciaria si è infatti impegnata in questi ultimi anni a ridurre il contenuto di grassi totali e grassi saturi, così come di altri nutrienti per i quali le linee guida consigliano un consumo controllato. Ma non è altrettanto certo che il risultato sia stato ottenuto esclusivamente eliminando l’olio di palma.
Detto questo, la riflessione sull’effettivo presunto beneficio derivante dall’assenza dell’olio di palma nelle attuali formulazioni andrebbe eventualmente fatta confrontando le alternative presenti oggi sul mercato, e non utilizzando come termine di paragone i dati medi di tre anni fa. Così facendo, si scoprirebbe che non tutti i prodotti senza olio di palma oggi disponibili sul mercato possono vantare un rilevante vantaggio in termini di minor contenuto di grassi saturi rispetto alla media di mercato.
Pertanto, non è corretto affermare che i prodotti “senza olio di palma” siano preferibili tout court a quelli che invece presentano questo ingrediente nella ricetta. Alle stesse conclusioni arriva anche lo studio comparativo “Senza olio di Palma, ma più saturi” pubblicato dall’associazione Campagne Liberali.
Per vantare l’assenza di olio di palma sulle confezioni o in comunicazione, associato a un ridotto contenuto di grassi saturi, bisognerebbe poter dimostrare una riduzione di almeno il 30% rispetto alla media di mercato attuale.
In sintesi, sarebbe opportuno informare anche i consumatori che:
- non sempre il claim “senza olio di palma” accompagna prodotti con una minore quantità di grassi saturi, invitandoli a leggere attentamente e confrontare tra loro anche le informazioni nutrizionali
- come ha confermato anche il Ministero dello Sviluppo Economico (Autorità competente in materia di etichettatura e Codice del Consumo), chi utilizza il claim “senza olio di palma” dovrebbe, caso per caso, dimostrare di commercializzare prodotti migliori dal punto di vista nutrizionale o ambientale.
Infine, una considerazione a parte merita anche l’assunto di base, riportato seppur in modo impreciso nelle premesse, ovvero che esista una diretta correlazione tra grassi saturi e rischio di malattie cardiovascolari. Le conclusioni dello studio citato restano comunque contrastabili con quanto riportato in uno studio pubblicato da Siri-Tarino nel 2015 [3] (v. allegato 3) cui si legge che l’attribuzione della diretta correlazione tra grassi saturi e rischio cardiovascolare è stata determinata da un approccio fin troppo semplicistico e che alla luce delle nuove evidenze si può ragionevolmente affermare che:
- non c’è associazione tra i grassi saturi della dieta e le malattie cardiovascolari;
- l’effetto di sostituzione dei saturi della dieta sul rischio cardiovascolare è fortemente condizionato dalla matrice e dall’intera dieta;
- l’effetto dei saturi è condizionato da diversi fattori: genere, resistenza insulinica, profilo lipidico e adiposità.
In conclusione, non è tanto il singolo nutriente o singolo alimento ad avere un impatto sul rischio vascolare quanto l’intero modello.
Alla luce di quanto evidenziato le chiedo pertanto, per completezza di informazione nei confronti dei consumatori, di poter dare visibilità anche alle posizioni dell’Unione.
Unione Italiana per l’Olio di Palma Sostenibile
Il Presidente
avv. Giuseppe Allocca
LA RISPOSTA DEL DOTTOR MICHELE SCULATI, AUTORE DELL’ARTICOLO DA NOI PUBBLICATO:
Ringrazio l’avvocato Allocca per le sue precisazioni e per aver sottolineato alcuni temi di dibattito scientifico che spero possa proseguire in termini seri, utili e trasparenti per il prossimo futuro.
In premessa mi pare importante ribadire come la questione legata all’utilizzo dell’olio di palma vada inquadrata nel più ampio impegno, che la stessa lettera dichiara essere obiettivo condiviso e su cui i produttori si sono impegnati, volto a ridurre il contenuto di grassi totali e dei grassi saturi.
Esiste un dibattito scientifico serio relativo all’impatto sulla salute dei grassi saturi, tuttavia ad oggi le più importanti linee guida al mondo, EFSA inclusa, rimangono concordi sul ruolo di un loro contenimento.
Anche alla luce di questo, in sintonia con alcune osservazioni svolte nella vostra lettera, nel mio articolo ho precisato che non è sufficiente togliere il palma per migliorare il profilo nutrizionale del prodotto, che può essere peggiorato nel caso dell’impiego dell’olio di cocco.
Resta comunque un punto di fondo: se è pur vero che lo studio Efsa si riferisce ai processi di lavorazione di tutti gli oli e grassi, certamente, tuttavia i risultati relativi a tali contaminanti sono stati di particolare rilievo per l’olio di palma; da questo documento è nata la decisione di molte aziende di usare altri oli.
Su alcune imprecisioni che vengono rilevate, premettendo che trattandosi di un articolo divulgativo non vengono esplicitate le fonti bibliografiche di base che sono comunque indicate all’editore, ritengo che il senso e la sostanza delle considerazioni svolte verso il lettore mantengano in pieno il loro senso e la loro coerenza. Mi riferisco al refuso nella parentesi riferita al MCPD (monocloropropanediolo) -2 citato impropriamente assieme al MCPD -3.
Anche per quanto riguarda i dati sulla riduzione media dei grassi saturi nelle diverse tipologie di prodotti (a partire dal 2014), e pur segnalando che in base a ulteriori verifiche che ho svolto il calo nelle merendine è del 18%, il dato rimane comunque significativamente minore rispetto ai cali avvenuti per tutti gli altri prodotti (biscotti frollini -54%, biscotti secchi -39%, ecc.). Comunque per la conferma definitiva di questo quadro attendiamo i dati ufficiali di AIDEPI (l’Associazione delle industrie del dolce e della pasta).
E, sempre ragionando rispetto a variazioni così significative intervenute nel corso degli ultimi anni, non vedo modifiche avvenute in questo lasso di tempo di altri ingredienti che possano giustificare queste riduzioni.
Michele Sculati