Secondo una ricerca della Booth School of Business dell’Università di Chicago: i bambini (in questo caso Usa) rifiutano gli alimenti nutrienti e sani, dando per scontato che proprio per questo non possano essere appetitosi. Spiega Ayelet Fishbach, professoressa di scienza del comportamento e marketing, che ha condotto l’indagine: «I bambini in età prescolare tendono a pensare che il cibo non può avere due scopi: non può essere qualcosa che li rende più sani e al tempo stesso buono da mangiare».
E, infatti, lo studio ha dimostrato che l’interesse dei bambini diminuiva se veniva detto loro che gli alimenti li avrebbero aiutati a raggiungere un risultato, come diventare più forti o imparare a leggere. «Quindi, se diciamo che le carote li aiuteranno a crescere o a diventare più intelligenti, loro non vorranno mangiarle», aggiunge Fishbach. Dunque se vogliamo far mangiare a un bambino le carote – consigliano i ricercatori – bisogna dirgli che sono buone oppure non dire nulla. E, al contrario, che le patatine fritte, i gelati, gli snack fanno bene alla salute e fanno diventare grandi…
Benservito
Ma basterà questo per convertire un esercito di bambini affamati di hot dog al pinzimonio e alle verdure? «Bisogna far capire ai piccoli che mangiare sano è saporito. Spesso si crede che un’alimentazione corretta non sia buona, ma è un mito da sfatare. Per questo consiglio ai genitori di non dire ai propri figli “ti fa bene”, ma “assaggia quanto è buono” – risponde dalle colonne del sito alimentazionebambini.e-coop.it Margherita Caroli, pediatra esperta in nutrizione, consulente dell’Unione europea -. In più, mangiare in maniera corretta serve ad ampliare lo spettro dei sapori. Ma è necessario anche che i genitori diano l’esempio, mangiando ciò che propongono al bambino».
E qui casca l’asino. «I genitori sono influenzati dalla cultura del piacere e del piacere nel mangiare. Per cui fanno fatica poi a trasmettere ai figli sani stili alimentari. E ancor più ad essere dei buoni esempi per i figli», spiega Carla Collicelli, sociologa e vice direttrice del Censis, autrice del saggio “Stili di vita e culture del bere in Italia”.
La piccola abbuffata
Nessuna meraviglia quindi che negli ultimi anni in Italia coesistano due tendenze contraddittorie «che vedono il diffondersi, da un lato, della consapevolezza e dell’importanza di una corretta alimentazione e di una lotta agli abusi e, dall’altro, quello di consumi rischiosi per la salute, sia nell’alimentazione che con le bevande e i farmaci».
E l’analisi della sociologa chiarisce che cosa sta succedendo nella società contemporanea, per la verità non da ora: «Si acquista sempre meno per necessità e sempre più per il gusto e il piacere ed il consumatore ha raggiunto di fatto un notevole grado di saturazione nei confronti dei prodotti. E ciò comporta che sia cresciuto a dismisura il peso attribuito al valore estetico del prodotto e all’acquistare per piacere e non per bisogno. E i bambini si sono trasformati in piccoli consumatori che sanno quello che vogliono e come ottenerlo. Fin da piccolissimi.
Ma per Susanna Russo, neuropsichiatra infantile presso l’Azienda ospedaliera “Luigi Sacco” di Milano e responsabile dell’ambulatorio dei disturbi del comportamento alimentare “Sacco pieno… sacco vuoto”, il vero problema sta altrove: «Lasciando da parte i risultati della ricerca dell’Università di Chicago che rimanda a una cultura alimentare diversa dalla nostra, direi che attraverso l’alimentazione che è tema centrale nell’infanzia, perché si vuole che i figli crescano bene, si manifesta un disturbo che è in realtà della relazione.
Questo ci raccontano i tanti casi che vediamo negli ambulatori italiani: famiglie in cui i genitori lavorano, che hanno difficoltà a mettere delle regole in ogni ambito, compreso quello alimentare, che non riescono a modulare l’accettazione del cambiamento da parte del bambino (nel passare dallo svezzamento a un’alimentazione più evoluta, la nascita di un fratellino, l’inserimento all’asilo ecc.), rispettando i suoi tempi. Madri e padri che tendono ad assecondare sempre e comunque i figli – prosegue Russo – per il senso di colpa determinato dallo stare poco con loro e che, purché mangino qualcosa, accettano i “piccoli ricatti” di bambini alla ricerca d’attenzione».
Il piatto piange
“Mangio solo se…” : quale genitore non ha sentito almeno una volta questa frase uscire dalla bocca del figlio? «E un errore comune dei genitori è proprio offrire delle ricompense in cambio di un pranzo completo», rileva la neuropsichiatra infantile. E Giovanna Carlo, psicoterapeuta e segretario Arpa (Associazione per la ricerca in psicologia analitica) di Roma, completa il quadro: «Si sono chiariti i diritti dei bambini, ma non i doveri, come quello di obbedire ai genitori, seguire le regole ecc. Oggi i bambini, soprattutto italiani, sono accuditi come re, figli del piacere, abituati ad avere tutto e subito. Un fatto è certo: quella di orientare i gusti dei figli e resistere alle loro bizze ha tutta l’aria di una missione, quasi impossibile.
«Dato che noi mangiamo prima con gli occhi e l’olfatto e solo dopo con la bocca, un consiglio utile per i genitori è quello di coinvolgere i figli durante la preparazione dei piatti – risponde Caroli, indicando la strada dei piccoli passi, concreti e giornalieri -, meglio se colorati e spiritosi. Così il bambino, divertito e spinto dalla curiosità, è più propenso ad assaggiare nuovi gusti. Un’altra raccomandazione è quella di dare ai bambini proprio gli alimenti più sgraditi quando sentono i primi morsi della fame, perché l’indice ipoglicemico, dettato appunto dalla fame, consente di apprezzare di più il gusto di ciò che hanno nel piatto. E poi introdurre cibi salutari all’interno dei piatti già noti ai bambini, avere orari stabili e precisi per pranzo e cena, non lasciare che mangino davanti alla televisione, dialogare con loro anche a tavola, non piegarsi ai loro capricci». Ecco qualche regola da seguire perché il pasto non resti sullo stomaco a tutta la famiglia.
luglio 2014