Uno degli obiettivi della Fao prevede di sradicare del tutto la fame nel mondo entro il 2030. Un “grande sogno” per l’assemblea delle Nazioni Unite, in programma a settembre, e per l’umanità intera, che poggia sul fatto che entro la fine di quest’anno ben 72 paesi avranno dimezzato l’entità del problema fame e molti altri hanno compiuto significativi passi avanti.
Le situazioni peggiori permangono a sud del Sahara in termini percentuali e in Asia in valori assoluti. In una ventina di paesi del pianeta ‘in crisi prolungata’ il problema è però cresciuto drasticamente, con il Medio Oriente che indietreggia a causa di conflitti bellici e catastrofi naturali, mentre sull’altro piatto della bilancia si fa gravissimo il problema della obesità che oggi tocca 500 milioni di persone, più o meno quanto la popolazione europea, (in più c’è la variabile dei livelli crescenti dei consumi in Cina e India).
Di questi temi e della loro relazione con Expo abbiamo parlato con Marcela Villareal, colombiana, direttore dell’Ufficio partnership della Fao (Food and agriculture organization), l’agenzia delle Nazioni Unite che ha come mission quella di definire politiche e strategie per alimentare il pianeta e combattere la fame.
Non è troppo ottimistico pensare di risolvere in quindici anni il problema di 800 milioni di persone malnutrite croniche?
I risultati fin qui ottenuti e che mostreremo nelle nostre installazioni all’Expo dimostrano che il totale sradicamento della fame nel mondo è raggiungibile entro il 2030: è il secondo dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile che saranno approvati dalle Nazioni Unite. Non solo, ma l’America Latina e la stessa Africa hanno assunto autonomamente come anno di riferimento una data più ravvicinata, il 2025. Nel mondo abbiamo in realtà cibo a sufficienza per tutti, il che ci fa ben sperare. Dagli anni Novanta ad oggi siamo consci di aver ridotto il problema fame per 200 milioni di persone. Quando ci si danno obiettivi così importanti, che richiedono politiche e investimenti ingenti in termini di risorse e uomini, i risultati poi vengono.
Il direttore generale della Fao Josè Graziano Da Silva dice infatti che il vero problema oggi non è il cibo, ma ‘l’accesso’ al cibo…
Difatti, se riusciamo a garantire un buon lavoro rurale o urbano alle persone possiamo già ritenere di essere a buon punto. Nel secondo nuovo obiettivo dell’Onu, non a caso, la fame è stata legata allo sviluppo del reddito e all’accesso alle risorse produttive, compresa la terra, vista in un’ottica di agricoltura sostenibile. Si è constatato che appena il livello di povertà scende anche di poco, la fame si risolve e d’altro canto un’agricoltura non può che essere sostenibile oggi per essere rispettosa dell’ambiente e della biodiversità, altri temi cruciali del nostro tempo.
Cosa pensa del Supermercato del futuro e di come Coop lo ha concepito, uno spazio sociale e aperto all’interscambio tra produttori, distributori e consumatori?
Trovo bellissimo il progetto e l’idea che c’è dietro. Bisogna avere sempre presente da dove viene il cibo. L’80% di ciò che mangiamo proviene dalla cosiddetta agricoltura familiare, che in stragrande maggioranza è formata da aziende piccole o molto piccole con meno di un ettaro di terreno. Perché possano giungere a un livello minimo di sussistenza hanno bisogno di organizzazioni collettive, cooperative o sotto altra forma: da sole non potrebbero sopravvivere. Senza un modello collettivo non ci sarebbe da mangiare né sulle loro né sulle nostre tavole. È chiaro che il cibo del futuro deve essere rispettoso dei valori di chi lo ha prodotto, così come è chiaro che quello familiare è un modello più sostenibile e rispettoso delle biodiversità. Dovremmo imparare tutti a non dissociare mai il prodotto dal suo produttore.
È questo che si aspetta come eredità da Expo?
Sì, vorrei che i 20 milioni di visitatori attesi dopo aver goduto del bello se ne tornassero a casa più consapevoli di cosa c’è dietro un prodotto e più impegnati a ridurre gli sprechi. Che capissero quanto stiamo facendo, che è tanto, e quanto è possibile fare ancora.
maggio 2015