La proposta del mese di Slow Food
Il pan di sorc di Gemona
Gemona e le sue terre sono state per secoli il luogo di passaggio obbligato per chi transitava verso l'Europa centrale. Durante la dominazione dell'impero asburgico da queste terre partivano verso Vienna artigiani e operai impiegati nei cantieri della capitale. Molti di loro tornavano nelle loro famiglie riportando usi e costumi stranieri e anche abitudini gastronomiche. Così si pensa sia nato il Pan di sorc, un pane dolce e speziato, ricco di contaminazioni d'oltralpe che le famiglie del gemonese preparavano per le feste e in particolare in occasione del Natale. Ogni famiglia di questa zona lo cucinava, con una propria ricetta che però prevedeva di base una miscela di farina di mais (il sorc in dialetto), segale, frumento, fichi secchi a cui alcuni erano soliti aggiungere anche uvetta e semi di finocchio.
Il pan di sorc è una pagnotta rotonda alta pochi centimetri e con la crosta molto scura e fragrante che fa da contrasto con la mollica gialla e dal caratteristico aroma di polenta.
Si consumava sia dolce che salato, come accompagnamento ai salumi. Essiccato, dopo due o tre giorni, veniva inzuppato nel latte o addirittura usato come ingrediente dei crafut, una polpetta fatta di fegato e reni di maiale impastati appunto con pane di mais grattugiato, uva sultanina, scorze di limone e mele.
I cereali erano coltivati in loco: segale, frumento tenero e tanto mais, tutti accomunati da una caratteristica: svilupparsi e maturare in un lasso di tempo massimo di 50 giorni e per questo detti cinquantini. L'abbandono della coltivazione di mais a ciclo breve come i cinquantini ed il cambiamento dei gusti alimentari avevano relegato il pan di sorc a un consumo unicamente nelle famiglie che conservavano un legame molto forte con le tradizioni.
Ma dal ricordo degli anziani l'Ecomuseo delle Acque del Gemonese ha avviato da alcuni anni un progetto di recupero della filiera del pan di sorc, riproponendo il consumo e la vendita di questo pane.
Oggi fanno parte del progetto alcuni coltivatori che hanno rimesso a dimora la popolazione di mais cinquantino e coltivano frumento e segale, due mulini (a pietra e a cilindri) che effettuano la molitura del mais e degli altri cereali, e un forno che si è impegnato fin da subito a riproporre il pane con la tradizionale lievitazione con pasta madre e cottura in forno a legna.