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Biodiversità, patrimonio da difendere

Nel Tirolo austriaco c’è un istituto agrario fondato più di 100 anni fa che, alla sua fondazione, ha raccolto campioni dei tantissimi tipi di miele prodotti in quel territorio. Ebbene analizzando oggi questi campioni, dato che in ogni miele si trovano anche i diversi pollini, si è scoperto che nel corso di un secolo un 50% di questi pollini e quindi delle piante da cui vengono è andato disperso, non c’è più.

L’esempio di quanto accaduto in un territorio tra i meno contaminati e inquinati d’Europa, come il Tirolo ci pare un buon punto di partenza per ragionare sulla biodiversità e sulla straordinaria importanza di questo termine, che più o meno tutti abbiamo sentito, ma al quale spesso non si presta la dovuta attenzione, come se i problemi della biodiversità non fossero legati alla nostra vita quotidiana, alle scelte che tutti compiamo e al futuro del pianeta.

Biodiversità significa Biodiversità è una parola relativamente recente, coniata nel 1985 dallo scienziato Walter Rosen che fuse in un unico termine l’espressione anglosassone biological diversity. In sostanza questa parola, rapidamente entrata nel vocabolario comune, sta a indicare l’insieme di ambienti naturali e di specie viventi che popolano la biosfera. In sostanza la biodiversità è l’insieme di quella straordinaria ricchezza che la natura ha costruito, nella sua sterminata articolazione di forme di vita, dai più minuscoli organismi, a piante e animali ben più complessi tra cui c’è anche l’uomo.

Il punto è che la fortuna del “giovane” concetto di biodiversità è direttamente legata alla enorme perdita di biodiversità che si sta registrando nel corso degli ultimi decenni. Colpa di calamità ed eventi naturali, ma colpa soprattutto dei cambiamenti indotti dall’uomo, dal taglio indiscriminato delle foreste all’ampliamento delle aree urbane, al prelievo di risorse naturali per le più disparate esigenze alle modifiche del clima.

Sui danni già subiti e sulle ulteriori minacce al patrimonio della biodiversità esistono montagne di dati. Uno dei simboli è la famosa Red list (cioè la Lista rossa) realizzata dall’Iucn (International union for the conservation of nature) che segnala tutte le specie che, con gradi diversi, sono a rischio di scomparsa. Ebbene, a fine gennaio la Lista rossa mondiale comprendeva ben 85.604 nomi, tra mammiferi, pesci, molluschi, piante, insetti e altro. Ovviamente questo sterminato elenco indica ciò che è oggi a rischio, a cui c’è da aggiungere l’enorme quantità di biodiversità che si è persa (soprattutto) nel corso degli ultimi decenni.

Ritmi di estinzione accelerati Dare cifre o percentuali precise è difficile. «É bene ricordare – come spiegano all’Ispra, cioè l’Istituto italiano per la protezione e la ricerca ambientale – che gli scienziati non si sono ancora fatti una chiara idea di quante specie, dagli organismi unicellulari alle balene, esistano sulla faccia della Terra. Diversi studi riportano che il numero delle specie viventi sul pianeta possa variare da 4 a 100 milioni. Solo una parte di esse, però (da 1,5 a 1,8 milioni), è attualmente conosciuta e, come dimostrano le scoperte recenti, è possibile che ci siano ancora mammiferi sfuggiti all’osservazione degli zoologi. Si ritiene che molte specie vegetali e animali di ambienti tropicali o marini non siano mai state osservate, per non parlare degli invertebrati e dei funghi. E meno dell’1% dei batteri è stato catalogato».

Chiarito ciò, resta il fatto che, la biodiversità continua a perdere pezzi: sempre l’Ispra stima che ogni giorno scompaiano circa 50 specie viventi. L’estinzione è un fatto naturale, che si è sempre verificato nella storia della Terra. Mediamente, una specie vive un milione di anni. «Il problema però è che attualmente la biodiversità si riduce a un ritmo da 100 a 1000 volte più elevato rispetto al ritmo “naturale”. Questo fa ritenere che siamo di fronte a un’estinzione delle specie superiore a quella che la Terra ha vissuto negli ultimi 65 milioni di anni, persino superiore a quella che ha segnato la fine dei dinosauri».

La natura che parla Ma chiedersi perché la biodiversità vada difesa (come da anni prevedono convenzioni e trattati internazionali, definiti in ambito delle Nazioni Unite, della Comunità Europea e con piani di intervento su cui è impegnato il Governo italiano e le Regioni) è fondamentale anche se non scontato nelle motivazioni. Nel senso che non si tratta solo di tutelare ciò che c’era: perché parlare di biodiversità è fondamentale se si vuole guardare al futuro.

“La biodiversità – spiega Paolo Fontana, entomologo e presidente della WBA, la World Biodiversity Association – è allo stesso tempo il motore e il risultato dell’evoluzione perché la biodiversità è la modalità con cui la vita si esplica”. Ecco perché nell’approccio di Fontana tutelare la biodiversità vuol dire pensare al futuro e alle generazioni che verranno. Questo senza voler riportare indietro le lancette della storia a situazioni e modalità di organizzazione della vita umana che mai più torneranno.

Biodiversità e mondo agricolo Per capire meglio (e per evitare di perdersi su un argomento che ha dimensioni enormi) è forse meglio concentrarsi sul tema del rapporto tra organizzazione del mondo agricolo e biodiversità.

“Quando siamo partiti a interessarci di questi temi – spiega ancora Fontana – si pensava che difendere la biodiversità volesse dire solo andare a studiare i santuari della natura incontaminata e i pericoli che riguardavano le foreste tropicali e le specie che ci vivono”. Sia chiaro si tratta di cose fondamentali, ed i simboli della lotta contro l’estinzione di tante specie (pensiamo al panda gigante), sono nati proprio dall’osservare questi contesti.

“Ma il fatto è che oggi la gran parte della superficie terrestre è occupata da attività agricole. Qui sta dunque una sfida fondamentale. Perché ogni campo ha una sua biodiversità, ogni campo è un insieme di forme viventi, di licheni, insetti e larve che sono nel terreno su cui l’uomo agisce. E la logica che negli ultimi decenni ha ispirato l’agricoltura mondiale, quella fatta di grandi estensioni e monocolture, di semi brevettati dalle grandi multinazionali e di grande uso di concimi è nemica della biodiversità”.

Educare contadini e consumatori Per questo c’è da fare una grande opera di educazione sia verso i contadini che verso i consumatori. Da un lato i contadini devono rendersi conto, e lo stanno facendo sempre più, che la larva che c’è nel terreno non è nemica del loro reddito. Quella larva può essere proprio l’indice di buona salute del campo e di quell’ambiente naturale. “La fertilità del suolo dipende da un equilibrio di quel sistema – prosegue Fontana -. Altrimenti tende a calare e i concimi sono solo un succedaneo”. 

Il successo dei prodotti biologici è sicuramente uno degli indici di un’attenzione che sta crescendo verso una pratica del mondo agricolo più attenta alla biodiversità. “Voglio essere molto chiaro – prosegue Fontana – Noi non siamo mossi da una preoccupazione etica, certo importante, per la sorte del panda gigante o della rana rossa. Il punto è garantire una produzione alimentare adeguata per la nostra società, oggi e domani. Occorre evitare approcci ideologici.  Dal no agli Ogm all’agricoltura biologica e biodinamica, io non credo ci sia da sposare in assoluto una bandiera. C’è da cercare soluzioni sostenibili, concrete e utili che prendano atto che l’agricoltura che io chiamo “farmaceutica” produce pochi vantaggi, sia per i contadini che per i consumatori. Dobbiamo ricostruire ecosistemi agrari che aumentino il benessere dell’uomo, che diano cibo alle comunità e che, ad esempio, consentano di combattere gli sprechi lungo tutta la filiera. In questo senso un ruolo fondamentale spetta al consumBiodiversità, patrimonio da difendereatore, un consumatore che deve essere informato e consapevole. Io ricordo sempre che ogni cittadino ha tre momenti al giorno per “il fare la rivoluzione: colazione, pranzo e cena”.

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